Malattie e cure - Ti aiuta l'Ospedale Mater Domini https://www.materdomini.it/malattie/ Tue, 07 Mar 2023 16:02:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 https://www.materdomini.it/wp-content/uploads/2018/01/favicon11.png Malattie e cure - Ti aiuta l'Ospedale Mater Domini https://www.materdomini.it/malattie/ 32 32 Acne https://www.materdomini.it/malattie/acne/ Sat, 13 Apr 2013 21:09:59 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/acne/ L’acne è una malattia del follicolo pilo-sebaceo, responsabile della comparsa di lesioni non infiammatorie (comedoni o “punti neri”) e lesioni infiammatorie (papule, pustole, noduli e cisti), più o meno gravi. Compare soprattutto nelle aree ricche di ghiandole sebacee, come ad esempio la T del volto, una sede estetica con una potenziale compromissione della qualità della […]

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L’acne è una malattia del follicolo pilo-sebaceo, responsabile della comparsa di lesioni non infiammatorie (comedoni o “punti neri”) e lesioni infiammatorie (papule, pustole, noduli e cisti), più o meno gravi. Compare soprattutto nelle aree ricche di ghiandole sebacee, come ad esempio la T del volto, una sede estetica con una potenziale compromissione della qualità della vita del soggetto affetto. Si manifesta alternando fasi di peggioramento, soprattutto dopo la stagione estiva, a fasi di remissione.

L’acne rappresenta una malattia cronica e recidivante, molto frequente nell’età adolescenziale (70-87% dei casi), ma non esclusiva di questa età. L’esordio è più precoce nelle femmine (11 anni) rispetto ai maschi (12-13 anni). Generalmente, la malattia si risolve intorno ai 20 anni, anche se nel 12% dei casi può perdurare fino ai 25 e nel 7% fino alla quarta decade di vita.

Tuttavia, negli ultimi anni si è notato un aumento dei casi di acne ad insorgenza, tanto da preferire indicarla come “acne volgare”, piuttosto che acne giovanile come nel recente passato.

Quali sono le cause dell’acne?

La genesi di questa malattia è multifattoriale. Le principali cause dell’acne sono da ricercarsi in una serie di fattori come: l’aumentata produzione di sebo, l’infiammazione, la colonizzazione batterica dei follicoli pilo-sebacei e la loro alterata cheratinizzazione (con cheratosi follicolare, ossia la formazione di un tappo che può chiudere gli sbocchi delle ghiandole).

Quali sono le diverse tipologie di acne?

A seconda della prevalenza del tipo di lesioni si individuano 4 tipi di acne:

  • lieve o comedonica (con prevalenza di comedoni);
  • papulo – pustolosa (è la forma più frequente con prevalenza di papule e pustole);
  • nodulo – cistica (<10% dei casi, con noduli e cisti sottocutanee che possono provocare esiti cicatriziali);
  • conglobata (la forma più grave di acne, con lesioni nodulo-cistiche, che perdura fino ai 30 anni, con formazione di gravi esiti cicatriziali).

La diagnosi

La diagnosi dell’acne è di competenza del dermatologo. Consta di un percorso nel quale si interpretano dei segni caratteristici di questa malattia, per incasellarla in un contesto specifico che varia in base:

  • al tipo di acne (comedonica, papulo-pustolosa, nodulo cistica, nodulare, conglobata, mista)
  • al grado di severità di ciascun tipo di acne (lieve, moderata, severa, fulminans)
  • ad eventuali condizioni sistemiche associate (nella donna), come alterazione del metabolismo ormonale ovarico o surrenalico, presenza di ovaio micropolicistico (PCO).

Il trattamento

Una tempestiva e corretta scelta della terapia, personalizzata in base al tipo di paziente e di acne, permette di curare la malattia, prevenendo gli esiti cicatriziali permanenti.

Nelle forme di acne lieve si utilizzano terapie topiche, ossia creme, gel e pomate a base di antinfiammatori, antibiotici, cheratolitici (che sciolgono i “tappi” che chiudono gli sbocchi delle ghiandole), retinoidi, benzoil perossido, acido azelaico. Tutti questi prodotti possono essere utilizzati da soli o in combinazione fra di loro. La scelta della terapia locale va quindi personalizzata considerando anche la tollerabilità dei diversi preparati e il “tipo” di pelle del singolo soggetto.

Nelle forme più gravi di acne, con prevalenza di lesioni infiammatorie quali le forme papulo-pustolose, oltre alle cure locali, si utilizzano anche farmaci per bocca, in particolar modo antibiotici, come le tetracicline o i macrolidi. Anche in questo caso è necessario escludere la presenza nel soggetto di controindicazioni (ad esempio esposizione al sole per le tetracicline) e/o allergie.

Le forme di acne del paziente di sesso femminile che si associano a disfunzioni ormonali (iperandrogenismo) oppure non responsive ai trattamenti convenzionali, con papule e noduli localizzati in prevalenza nella parte inferiore del volto, nel collo e nella zona periorale, possono essere trattate con un farmaco antiandrogeno (ciproterone acetato) o con estroprogestinici orali (“pillola”).

Nelle forme di acne nodulo-cistica o conglobata, non responsive alle terapie “convenzionali” o con rischio di gravi cicatrici permanenti, può essere prescritta una terapia sistemica con isotretinoina.

L’isotretinoina è un farmaco derivato dalla Vitamina A. Poiché l’isotretinoina è gravata da un certo numero di effetti indesiderati e collaterali, tra cui la possibilità di indurre gravi malformazioni fetali, è assolutamente controindicata in gravidanza (si rende pertanto necessario per le pazienti, l’esecuzione di test di gravidanza e di contraccezione durante tutta la durata della terapia e fino a 1 mese dalla sospensione). È necessario eseguire regolari controlli degli esami ematochimici prima dell’inizio della terapia e durante tutta la terapia.

La durata della terapia varia solitamente dalle 16 alle 20 settimane ed è controindicata durante il periodo estivo perché incompatibile con l’esposizione solare (rischio di gravi reazioni fototossiche prescrizione).

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Acne cistica https://www.materdomini.it/malattie/acne-cistica/ Fri, 20 Mar 2015 09:17:01 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/acne-cistica/ L’acne è un’infiammazione cronica del follicolo pilifero e delle ghiandole sebacee caratterizzata dalla presenza di comedoni (punti neri), di papule (elementi infiammati) e di pustole (brufoli, che possono avere il puntino bianco o giallo). Esistono diverse forme di questa patologia: tra queste la forma più severa è l’acne nodulo-cistica. Che cos’è l’acne cistica? L’acne nodulo-cistica […]

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L’acne è un’infiammazione cronica del follicolo pilifero e delle ghiandole sebacee caratterizzata dalla presenza di comedoni (punti neri), di papule (elementi infiammati) e di pustole (brufoli, che possono avere il puntino bianco o giallo). Esistono diverse forme di questa patologia: tra queste la forma più severa è l’acne nodulo-cistica.

Che cos’è l’acne cistica?

L’acne nodulo-cistica è una forma rara di acne che colpisce quasi esclusivamente i soggetti di sesso maschile. Tale varietà di acne può presentarsi all’inizio della pubertà o più tardivamente (18-20 anni) in modo subdolo. Si caratterizza per la comparsa sia al volto che al tronco di formazioni nodulo-cistiche sottocutanee infiammate a volte anche conglobate tra loro non raramente associate a sintomatologia dolorosa. Al dorso prevalgono grosse formazione cistiche con fenomeni suppurativi ed ascessuali che danno esito a cicatrici a stampo o cheloidee. La guarigione è tardiva e spesso questo tipo di acne persiste parecchi anni.

Quali sono le cause dell’acne cistica?

A differenza delle forme intermedie di acne, tipo la papulo-pustolosa, o di quella lieve, la comedonica, quella nodulo-cistica si manifesta in seguito ad un’amplificazione importante dei meccanismi patogenetici della patologia. In altre parole, è presente un’iper-espressione dei meccanismi responsabili dell’acne.Le cause all’origine dell’acne cistica non sono ancora conosciute. Si pensa che questa forma di acne possa essere connessa a un’eccessiva attivazione delle ghiandole sebacee dovuta a stimolo neuroendocrino.

Quali sono i sintomi dell’acne cistica?

L’acne cistica si manifesta con la presenza di noduli e cisti, che possono essere accompagnati da dolore.
Dal momento che le cause all’origine dell’acne cistica non sono ancora conosciute, non è purtroppo possibile parlare di prevenzione dell’acne cistica.

Per effettuare la diagnosi di acne cistica occorre sottoporsi a una visita dermatologica, durante la quale lo specialista evidenzierà la presenza di noduli e cisti.

È una manifestazione che spesso, inevitabilmente, crea un disagio sociale, soprattutto psicologico e il cui trattamento richiede un approccio specialistico dermatologico mirato. Infatti, è impensabile di risolvere tale tipologia di acne utilizzando solo dei topici da applicare sulla pelle e peggio ancora immaginare di ottenere dei miglioramenti con il fai da te.

La diagnosi

L’acne nodulo-cistica richiede la professionalità e la competenza del dermatologo ma anche la pazienza, a volte tanta, del paziente, prima di poter apprezzare i miglioramenti sulla sua pelle.

Il trattamento

Per trattare l’acne cistica il farmaco attualmente più efficace è l’Isotretinoina, un derivato della vitamina A che è in grado nella quasi totalità dei casi di far regredire noduli e cisti in quattro/sei mesi di trattamento. Assunto a lungo termine questo farmaco può dar vita a differenti tipi di effetti collaterali e pertanto va usato esclusivamente sotto controllo specialistico.

Riconoscere tempestivamente le forme nodulo-cistiche di acne e iniziare di conseguenza il trattamento con isotretinoina è importante per evitare la formazione degli esiti cicatriziali che, oggi, a differenza del passato, è possibile trattare e gestire al meglio per ripristinare la normale levigatezza della pelle.

Il trattamento delle cicatrici da acne varia da soggetto a soggetto e può essere essenzialmente di tipo chimico, ad esempio peeling specifici, o fisico, ad esempio tramite l’impiego di sistemi laser ottimizzati per tale problematica quale il laser frazionato.

Questo testo è stato redatto dagli specialisti di Humanitas Mater Domini. Nessuna parte di esso può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata. Data di pubblicazione: 20/03/2015

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Adenoma ipofisario https://www.materdomini.it/malattie/adenoma-ipofisario/ Tue, 29 Apr 2014 09:14:09 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/adenoma-ipofisario/ Che cosa sono gli adenomi ipofisari? Gli adenomi ipofisari sono molto frequenti e costituiscono la terza forma di tumore più comune del sistema nervoso centrale. Possono causare una sindrome clinica per produzione in eccesso dell’ormone sintetizzato o, per compressione, una ridotta secrezione degli ormoni prodotti dagli altri tipi cellulari. Gli adenomi ipofisari in rapporto alle dimensioni vengono suddivisi […]

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Che cosa sono gli adenomi ipofisari?

Gli adenomi ipofisari sono molto frequenti e costituiscono la terza forma di tumore più comune del sistema nervoso centrale. Possono causare una sindrome clinica per produzione in eccesso dell’ormone sintetizzato o, per compressione, una ridotta secrezione degli ormoni prodotti dagli altri tipi cellulari. Gli adenomi ipofisari in rapporto alle dimensioni vengono suddivisi in microadenomi (diametro massimo inferiore al cm) e in macroadenomi (diametro massimo uguale o superiore al cm).

Sulla base dello stato secretivo, gli adenomi ipofisari vengono classificati in adenomi non-funzionanti (o NFPA) e adenomi funzionanti:

PRL-secernenti (o PRL-omi); GH-secernenti (o GH-omi o somatotropinomi, causano acromegalia); ACTH-secernenti (o ACTH-omi, causano malattia di Cushing); TSH-secernenti (o TSH-omi o tireotropinomi); gonadotropino-secernenti (o Gn-omi o gonadotropinomi); a secrezione mista come quelli PRL- e GH-secernenti o PRL- GH- e TSH secernenti. I prolattinomi sono i più frequenti.

La diagnosi

Frequentemente il riscontro di un adenoma ipofisario può essere incidentale, in corso di esami TAC o Risonanza Magnetica dell’encefalo.Devono essere valutati tutti gli ormoni prodotti dall’ipofisi per escludere ipo o iperproduzione ormonale. In caso di macroadenoma va effettuata una valutazione oculistica ed eventualmente neurochirurgica nel caso si evidenzino sintomi di tipo compressivo.

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Allergia https://www.materdomini.it/malattie/allergia/ Fri, 20 Mar 2015 09:59:40 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/allergia/ L’allergia è una reazione del sistema immunitario verso sostanze innocue, come ad esempio i pollini.Le sostanze che possono causare un’allergia sono chiamate allergeni. Gli allergici producono un tipo di anticorpi, le immunoglobuline E (IgE), che interagiscono in modo specifico con l’allergene. L’interazione tra le IgE e gli allergeni innesca la reazione allergica, con liberazione di […]

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L’allergia è una reazione del sistema immunitario verso sostanze innocue, come ad esempio i pollini.Le sostanze che possono causare un’allergia sono chiamate allergeni. Gli allergici producono un tipo di anticorpi, le immunoglobuline E (IgE), che interagiscono in modo specifico con l’allergene. L’interazione tra le IgE e gli allergeni innesca la reazione allergica, con liberazione di mediatori, in primis l’istamina, responsabili dell’insorgenza dei sintomi. L’allergia è specifica verso un determinato allergene. Un soggetto allergico può essere allergico a uno o più allergeni.

Quali sono le cause dell’allergia?

Fattori di rischio per sviluppare un’allergia sono la predisposizione familiare e l’esposizione nel corso della vita a sostanze allergizzanti. I figli di genitori allergici hanno una maggiore probabilità di sviluppare un’allergia e la probabilità aumenta se lo sono entrambi i genitori. Anche l’esposizione a sostanze irritanti quali il fumo di sigaretta e gli agenti inquinanti possono favorire la sensibilizzazione allergica.

L’esposizione all’allergene può avvenire per via inalatoria (come ad esempio nel caso dell’allergia ai pollini), per ingestione (alimenti), per via iniettiva o per contatto con la cute o con le mucose.

Quali sono i sintomi dell’allergia?

I sintomi tipici dell’allergia sono: rinite (prurito, ostruzione nasale, starnuti, rinorrea), asma (tosse, difficoltà respiratoria), congiuntivite (prurito e lacrimazione), sintomi a carico della cute (prurito, eritema, orticaria, angioedema ed eczema), sintomi gastrointestinali (prurito al cavo orale, vomito, diarrea, dolori addominali), edema della glottide e shock anafilattico (ipotensione, malessere, perdita di conoscenza).

I sintomi delle reazioni allergiche IgE mediate sono tipicamente immediati; di solito iniziano da pochi minuti a 1-2 ore dopo il contatto con l’allergene. La dermatite allergica da contatto è invece una reazione allergica ritardata, che ha una patogenesi diversa dalle reazioni allergiche IgE mediate.

La classificazione delle allergie

Allergia respiratoria

L’allergia respiratoria è causata da allergeni inalanti: diversi tipi di polline, epiteli di animali, acari della polvere di casa, micofiti e si manifesta con congiuntivite, rinite, tosse, asma bronchiale.

Allergia alimentare

Il sintomo iniziale di un’allergia alimentare è spesso il prurito immediato alle labbra e al cavo orale, che a volte può essere seguito da sintomi gastrointestinali, respiratori e cutanei e, nei casi più gravi, da edema della glottide e shock anafilattico. L’allergia alimentare nel lattante e nel bambino è più spesso causata dalle proteine del latte vaccino, mentre nell’adulto, in particolare negli allergici ai pollini, è più comune l’allergia ad alcuni frutti e verdure per cross-reazione tra allergeni presenti in alcuni pollini e in alcuni alimenti di origine vegetale.

Allergia a farmaci

I farmaci che più spesso causano reazioni avverse di tipo allergico sono gli antibiotici e gli antiinfiammatori. I sintomi più frequenti sono a carico della cute, in particolare orticaria e angioedema, ma le reazioni possono interessare anche altri organi e apparati, talora con particolare gravità. I test diagnostici sono disponibili solo per pochi farmaci, per cui è indispensabile un’anamnesi accurata per identificare i farmaci che hanno causato la reazione e impostare quindi una strategia di prevenzione.

Allergia al veleno di imenotteri

La puntura di ape, vespa e calabrone nei soggetti allergici può causare sintomi locali, anche estesi, nella sede della puntura, ma in alcun i casi si possono avere sintomi generali come lo shock anafilattico, pericoloso per la vita.

Dermatite atopica

Detta anche eczema costituzionale, può insorgere fin dai primi mesi di vita in alcune zone cutanee tipiche (in sede periorale, periorbitaria, ai gomiti e alle ginocchia). Nel bambino può essere associata a un’allergia alimentare.

Dermatite allergica da contatto

È una dermatite eczematosa (eritema, vescicole e desquamazione) che si manifesta diverse ore dopo il contatto con alcune sostanze chimiche, come ad esempio il nichel solfato. Le sostanze che possono causare una dermatite allergica da contatto si chiamano apteni anziché allergeni.

Intolleranze alimentari

L’intolleranza alimentare più comune è l’intolleranza al lattosio che è frequente nella popolazione adulta. È causata dalla carenza di un enzima, la lattasi, necessario per l’assorbimento del lattosio, uno zucchero contenuto nel latte. L’intolleranza al lattosio si manifesta con sintomi intestinali (meteorismo, dolori addominali, diarrea) che insorgono dopo l’ingestione di latte o latticini.

Celiachia

La celiachia è una reazione immunologica, non di tipo IgE, verso la gliadina, proteina del glutine presente in grano, orzo, avena e segale. I soggetti affetti da celiachia hanno una predisposizione genetica alla malattia. L’ingestione di glutine nei celiaci provoca alterazioni infiammatorie della mucosa intestinale con conseguenti sintomi intestinali e da malassorbimento; i sintomi a volte sono così lievi che la malattia viene diagnosticata solo in età adulta. La diagnosi di celiachia si basa sulla presenza nel sangue di anticorpi di classe A (IgA) diretti verso antigeni caratteristici della malattia.

La diagnosi

La diagnosi di intolleranza al lattosio viene fatta mediante il Breath test. L’esame consiste nella misurazione, con un apposito strumento, della concentrazione di idrogeno nell’aria che viene espirata dopo aver bevuto una dose standard di lattosio. Ad oggi non sono disponibili altri test validati per diagnosticare eventuali altre forme di intolleranza ad alimenti o ad additivi alimentari. Tuttavia per la diagnosi di certezza occorre sottoporsi a una esofagogastroduodenoscopia con biopsia, per confermare la presenza di alterazioni della mucosa intestinale tipiche della celiachia.

Un’accurata anamnesi, effettuata durante una visita allergologica, permette all’allergologo di orientarsi sulle possibili cause e di individuare le prove allergiche indicate per accertare la diagnosi. Il sospetto diagnostico di un’allergia può essere quindi confermato dai test cutanei (Prick Test). Il prick test consente di testare in un’unica seduta i principali allergeni ed essendo un test in vivo, riproduce l’effettiva reattività del paziente all’allergene. Per questi motivi è il test di prima scelta per la diagnosi di allergia a inalanti (ad esempio, pollini, peli d’animale, acari della polvere di casa) e alimenti.

Un altro esame per la diagnosi di allergie IgE mediate è il dosaggio delle IgE specifiche verso singoli allergeni o verso singole molecole allergeniche. L’esame si esegue su un campione di sangue venoso prelevato al paziente e può essere eseguito anche in corso di terapia con antistaminici, in quanto l’esito del test non è influenzato dai farmaci. Il dosaggio delle IgE specifiche è indicato in presenza di alterazioni della cute che non consentono di eseguire i Prick Test e in certi casi può essere utile a completamento del procedimento diagnostico. Per la diagnosi di dermatite allergica da contatto si utilizzano i Patch Test.

In questo caso i singoli apteni vengono applicati sulla cute del dorso e mantenuti in sede con cerotti fino alla lettura, che avviene dopo 48-96 ore in quanto la dermatite allergica da contatto è una reazione allergica ritardata e non immediata. Il test è positivo se, nella sede di applicazione dell’aptene, compaiono eritema ed edema pruriginosi con formazione di vescicole.

Il trattamento

Quando non è possibile evitare il contatto con l’allergene, si può ricorrere a una terapia sintomatica con farmaci antiallergici, generalmente ben tollerati e in grado di alleviare i sintomi.

Gli antistaminici sono indicati nell’oculorinite allergica e nell’orticaria. Gli antistaminici più recenti sono ben tollerati e nella maggior parte dei pazienti non provocano sonnolenza.

I cortisonici sono utilizzati per via inalatoria per la terapia dell’asma bronchiale e per spray nasale per la rinite. I cortisonici utilizzati per tali formulazioni hanno un’azione solo locale, senza effetti collaterali sistemici e possono quindi essere considerati sicuri.

Per la terapia della dermatite atopica e della dermatite allergica da contatto si possono applicare sulla cute preparati a base di cortisone, che vanno utilizzati per periodi molto brevi, al fine di limitarne gli effetti collaterali.

Nei casi che non rispondono alla terapia locale, il cortisone può essere somministrato per via orale o per via iniettiva, sotto stretto controllo medico, data la possibilità di importanti effetti collaterali sistemici.Il farmaco di scelta per la terapia dello shock anafilattico è l’adrenalina, che è disponibile in farmacia anche in siringhe predosate per l’autosomministrazione. L’adrenalina autoiniettabile viene prescritta dal medico in caso di precedenti gravi reazioni allergiche, come può succedere in alcuni casi di allergia ad alimenti e soprattutto al veleno di imenotteri.

La prevenzione

La celiachia è una reazione immunologica, non di tipo IgE, verso la gliadina, proteina del glutine presente in grano, orzo, avena e segale. I soggetti affetti da celiachia hanno una predisposizione genetica alla malattia. L’ingestione di glutine nei celiaci provoca alterazioni infiammatorie della mucosa intestinale con conseguenti sintomi intestinali e da malassorbimento; i sintomi a volte sono così lievi che la malattia viene diagnosticata solo in età adulta. La diagnosi di celiachia si basa sulla presenza nel sangue di anticorpi di classe A (IgA) diretti verso antigeni caratteristici della malattia.

La prevenzione dell’allergia consiste nell’evitare il contatto con l’allergene. Non sempre ciò è possibile, come nel caso dell’allergia ai pollini, agli acari domestici o al veleno di imenotteri.

La prevenzione è il trattamento di scelta in caso di allergia ad alimenti, a farmaci, a epiteli e forfora di animali e, nel caso della dermatite allergica da contatto a sostanze chimiche. Per l’allergia a inalanti (pollini, acari domestici) è possibile effettuare una terapia preventiva con un vaccino che contiene l’allergene responsabile dei sintomi respiratori e che ha un effetto specifico per l’allergene somministrato.

I vaccini sono l’unico trattamento in grado di ridurre la reattività del soggetto allergico verso l’allergene, diversamente dai farmaci sintomatici che si limitano ad alleviare i sintomi. Il vaccino è disponibile per via orale e viene assunto dal paziente a casa, secondo la posologia consigliata.

Nel caso di allergia a pollini, il vaccino viene iniziato un paio di mesi prima dell’inizio del periodo di pollinazione e proseguito durante il periodo di pollinazione, con somministrazioni quotidiane. Il ciclo viene ripetuto per 3 anni con un beneficio sui sintomi che perdura nel tempo anche dopo la sospensione.

Nel caso di allergia al veleno di imenotteri, il vaccino è considerato un salvavita. In questo caso la somministrazione è per via iniettiva e viene praticata in centri ospedalieri dedicati.

Questo testo è stato redatto dagli specialisti di Humanitas Mater Domini. Nessuna parte di esso può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata. Data di pubblicazione: 20/03/2015

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Alluce rigido https://www.materdomini.it/malattie/alluce-rigido/ Wed, 29 Apr 2015 10:09:22 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/alluce-rigido/ L’alluce rigido è un alluce che perde la sua normale mobilità articolare, dapprima come difesa dal dolore, successivamente per vera e propria limitazione meccanica, dovuta alla degenerazione artrosica dell’articolazione metatarso-falangea. Talvolta può essere associato anche a valgismo dell’alluce (deviazione laterale del dito), ma non per questo confuso con tale patologia.L’alluce rigido colpisce circa il 2% […]

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L’alluce rigido è un alluce che perde la sua normale mobilità articolare, dapprima come difesa dal dolore, successivamente per vera e propria limitazione meccanica, dovuta alla degenerazione artrosica dell’articolazione metatarso-falangea.

Talvolta può essere associato anche a valgismo dell’alluce (deviazione laterale del dito), ma non per questo confuso con tale patologia.L’alluce rigido colpisce circa il 2% della popolazione con una netta prevalenza degli uomini sulle donne, tra i 30 e i 60 anni di età.

Quali sono le cause dell’alluce rigido?

Le cause dell’alluce rigido possono essere molteplici: da alcune malattie sistemiche metaboliche (gotta), infiammatorie e autoimmuninatarie (artrite reumatoide e similari), a quelle post-traumatiche con lesioni articolari e micro traumatiche in caso di attività particolari svolte dal paziente (es. attività sportive come il calcio, danza classica, arrampicata, ecc.).

Tuttavia, per quanto concerne queste ultime, è presente una conformazione anatomica del piede che predispone a questa patologia. Si tratta di un piede in cui la lunghezza dei metatarsi interni (primo, secondo, terzo) è eccessiva rispetto ai metatarsi laterali e quindi è su questi che viene a gravare maggiormente il peso del corpo. Non tutti gli sportivi sono, infatti, soggetti a questa patologia.

Quali sono i sintomi dell’alluce rigido?

I sintomi si concretizzano in un dolore alla deambulazione dovuto alla ridotta mobilità dell’alluce in estensione, come avviene nella fase di “stacco” del cammino. Nelle donne vi è impossibilità a portare una calzatura con tacco, anche di ridotte dimensioni e la tendenza è quella a spostare il peso del corpo sul margine esterno del piede con frequente comparsa di tendinite dei peronei o borsite e arrossamento del quinto metatarso.

L’articolazione metatarso-falangea subisce una degenerazione cartilaginea che può ulteriormente aggravarsi (ingravescente) con progressivo e parallelo ingrossamento globale dell’articolazione stessa, dovuto alla formazione di sporgenze ossee su tutta la rima articolare (osteofiti).

Tale evenienza si manifesta con la sporgenza sottocutanea dell’osso neoformato, che determina conflitto e sfregamento all’interno della calzatura, arrossamento doloroso, talvolta similare alla più nota borsite da alluce valgo. Gli osteofiti, inoltre, con il passare del tempo determinano una vera e propria limitazione meccanica dell’estensione dell’alluce sul metatarso che viene ad aggravare la limitazione del dolore (antalgica).

La diagnosi

La diagnosi di alluce rigido è essenzialmente clinica (visita specialistica). Si basa sull’osservazione della deformità articolare, la borsite, la costatazione del dolore al movimento dell’alluce. Sarà necessario distinguere questa patologia da un alluce semplicemente valgo, con conservazione invece delle superfici articolari poiché il trattamento sarà differente. A supporto della diagnosi, sarà comunque necessario eseguire una radiografia del piede.

Il trattamento per la cura dell’alluce rigido

Il trattamento dell’alluce rigido sarà riservato ai casi (la maggioranza) in cui tale patologia è accompagnata da dolore (esistono infatti paziente in cui la gravità dell’artrosi non è correlata da un altrettanto grave sintomatologia dolorosa).

Inizialmente, il trattamento deve essere mirato alla riduzione del dolore con l’utilizzo di opportuni mezzi ortesici: suolette, plantari, calzature idonee, ecc.

Quando questi accorgimenti non sono più sufficienti, è necessario il trattamento chirurgico. L’intervento consiste nella ricostruzione articolare completa della metatarso-falangea, mediante una vera e propria sostituzione cartilaginea (artroplastica).

Questa può essere realizzata con o senza impianto di materiale protesico e dispositivi similari utilizzati come distanziatori. Più facilmente e maggiormente fisiologica, è la tecnica di ricostruzione mediante interposizione articolare di tessuto autologo (proprio), al fine di creare, in sostituzione della cartilagine ulcerata un “cuscinetto” di scivolamento indolore dell’alluce sul suo metatarso. Si tratta di procedere alla completa asportazione della cartilagine degenerata e alla successiva copertura dell’osso così messo a nudo, con materiale capsulo-sinoviale in eccesso.

A seguire, la ricostruzione dei legamenti e il riposizionamento in asse dell’alluce sul metatarso con secondaria correzione dell’eventuale concomitante valgismo. Nei primi 20 giorni dopo l’intervento, sarà necessario il mantenimento fuori carico dell’avampiede e andatura con appoggio, quindi, limitato al tallone.

Questo testo è stato redatto dagli specialisti di Humanitas Mater Domini. Nessuna parte di esso può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata. Autore: Myriam Cecchi, équipe del Centro di Chirurgia del Piede Data di pubblicazione: 29/04/2015

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Alluce valgo https://www.materdomini.it/malattie/alluce-valgo/ Thu, 19 Feb 2015 14:44:39 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/alluce-valgo2/ Che cos’è l’alluce valgo? L’alluce valgo è una delle patologie più diffuse del piede. Si presenta come una deviazione laterale dell’alluce che, inclinandosi progressivamente verso le altre dita, determina a catena una deviazione assiale anche di queste. Contemporaneamente, si viene a formare una sporgenza ossea sul lato della base del dito che, nel conflitto con […]

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Che cos’è l’alluce valgo?

L’alluce valgo è una delle patologie più diffuse del piede.

Si presenta come una deviazione laterale dell’alluce che, inclinandosi progressivamente verso le altre dita, determina a catena una deviazione assiale anche di queste. Contemporaneamente, si viene a formare una sporgenza ossea sul lato della base del dito che, nel conflitto con la calzatura, porta alla formazione di una borsite dolorosa che, talvolta, esita addirittura in un’ulcerazione della cute.

Da qui, la difficoltà o impossibilità a trovare una calzatura idonea, con il grave danno funzionale che ne deriva. Oltre ad un fastidioso danno estetico.

Quali sono le cause dell’alluce valgo?

Le cause dell’insorgenza dell’alluce valgo sono essenzialmente di due tipi.

Nell’alluce valgo primitivo sono genetiche e costituzionali.
Tale patologia si sviluppa nel corso degli anni, ricalcando spesso un difetto già presente nella stessa famiglia.
Si chiama alluce valgo primitivo o idiopatico, perché non è riconducibile ad altre cause o evidenti situazioni che ne possano predisporre la formazione.

Nell’alluce valgo secondario, a determinare tale deformità possono essere cause acquisite, come le malattie autoimmunitarie (es. artrite reumatoide), degenerative (es. piede pronato post-menopausa), post – traumatiche oppure la presenza di uno scorretto asse del retropiede con calcagno valgo e pronazione sotto astragalica.

Il tipo di calzatura non è mai tra le cause che determinano l’insorgenza dell’alluce valgo o il suo peggioramento, ma è piuttosto l’alluce valgo che non viene tollerato in una specifica calzatura (tacco alto, punta stretta), poiché quest’ultima ne aggrava l’infiammazione e l’arrossamento.
Si tratta di una patologia essenzialmente femminile, ad insorgenza nella maggioranza dei vasi dopo i 40 anni di età, anche se il sesso maschile non ne è completamente esente.

Quali sono i sintomi dell’alluce valgo?

  • Dolore in corrispondenza della base dell’alluce ove si forma, sul lato interno, una sporgenza ossea (esostosi) sormontata da una borsite, sempre più infiammata e arrossata (cosiddetta “cipolla” o “patata”)
  • Contemporaneamente, l’alluce si inclina progressivamente lateralmente verso le dita, provocando una deviazione assiale secondaria anche di queste ultime.
  • Con l’aggravarsi della patologia, l’alluce può situarsi addirittura sotto il secondo dito che, a questo punto, si lussa sull’articolazione metatarsofalangea, fino a trovarsi sollevato e iperesteso. Più raramente, invece, si pone al di sopra del secondo dito, spingendolo plantarmente.
  • Le altre dita, anch’esse in modo sempre più grave, assumono l’atteggiamento a martello (in flessione più o meno rigida dell’articolazione intermedia con callosità dolorose sul dorso del dito), fino a lussarsi anch’esse sui loro rispettivi metatarsi.
  • Contemporaneamente, si assiste alla formazione di callosità dolorose sulla pianta del piede, dovute all’eccessiva sporgenza plantare dei metatarsi (“Caduta dei metatarsi”), a seguito dell’alterata ripartizione del carico.

La diagnosi

  • Visita specialistica ortopedica
  • Per la valutazione della gravità o associazione di altre patologie, è necessario comunque una tradizionale e semplice radiografia eseguita in carico e nelle due proiezioni standard.
  • Può rendersi necessaria l’esecuzione di un esame TAC o Risonanza Magnetica del piede, nel caso si sospetti all’esame clinico la coesistenza di altre patologie, capaci di determinare scelte diverse nel trattamento chirurgico o di cambiarne la priorità (es. Neuroma di Morton, malformazioni congenite o patologie  a monte nel caso di alluce valgo secondario, ecc.).

Il trattamento conservativo

Possono essere adottati alcuni accorgimenti per alleviare la sintomatologia a carico del piede, che non sono comunque in grado di curare la deformità:

  • Evitare le attività che costringono a stare in piedi per lunghi periodi di tempo;
  • Utilizzare calzature adeguate: la scarpa migliore da indossare riprende la forma naturale dell’arco plantare. Il tacco non dovrebbe superare i 4-5 cm., perché i tacchi eccessivamente alti costringono il piede ad una posizione innaturale;
  • Plantari: consentono di evitare un sovraccarico della parte anteriore del piede e aiutano a minimizzare la sintomatologia dolorosa;
  • Trattamenti fisioterapici per ridurre i sintomi e attenuare il dolore;
  • Farmaci: possono essere indicati per ridurre il dolore e l’infiammazione.

Se i sintomi sono gravi ed i trattamenti alternativi non sono efficaci, la soluzione è il trattamento chirurgico.

Per saperne di più, si può visitare la pagina dedicata alla tecnica conservativa all’alluce valgo.

Il trattamento chirurgico

La tecnica innovativa percutanea ha rivoluzionato e migliorato il trattamento chirurgico dell’alluce valgo, mentre le tecniche tradizionali sono ormai riservate ai casi in cui la percutanea trovi una chiara controindicazione. Si tratta dei casi nei quali è presente una grave patologia articolare da cause degenerative e post traumatiche, in presenza delle quali non avrebbe senso il semplice ripristino del corretto assetto assiale dell’alluce e delle dita.

In questi casi, infatti, l’intervento chirurgico deve essere mirato al trattamento del danno articolare con tecniche tradizionali di artroplastica con o senza impianto di materiale protesico, atrodesi, ecc, mediante le quali la correzione del valgismo è una conseguenza secondaria.

Diversamente, in un comune alluce valgo, la tecnica percutanea è sempre possibile e non è più la gravità della deformità a determinarne una controindicazione.

La tecnica percutanea

La tecnica percutanea si caratterizza per l’utilizzo di piccole frese similari a quelle usate in campo odontoiatrico per il modellamento e la sezione (taglio) delle ossa, introdotte attraverso la cute e a contatto con l’osso, attraverso minuscoli forellini, senza necessità di incisioni chirurgiche.

La diversa tipologia di queste frese permette l’esecuzione dei differenti gesti chirurgici (fresatura delle esostosi, sezione – osteotomia dei metatarsi o delle falangi), spesso non dissimili da quelle eseguiti in modo invasivo nella chirurgia tradizionale.
La correttezza delle sezioni (tagli) o del modellamento delle ossa, viene controllata nel corso dell’intervento attraverso l’utilizzo del fluoroscopio intra operatorio, per cui l’immagine del campo operatorio è  sempre visibile su monitor mediante scopia (utilizzo di raggi x).

Ottenuto in questo modo, un piede “dolcile” alla correzione manulae, mediante lo spostamento delle piccole fratture praticate e quindi lasciate libere, la correzione finale viene assicurata da un bendaggio contenitivo particolare che in nessun modo deve essere rimosso, se non da personale specializzato.

Per saperne di più, si può visitare la pagina dedicata all’intervento con tecnica percutanea all’alluce valgo.

I vantaggi della tecnica percutanea per l’intervento all’alluce valgo

La tecnica percutanea per il trattamento dell’alluce valgo si caratterizza per:

  • Rapidità (15/20 minuti di intervento)
  • Indolore
  • Assenza di cicatrici chirurgiche
  • Non necessita di mezzi di sintesi (chiodi o viti)
  • Deambulazione immediata (il paziente può camminare subito dopo l’intervento chirurgico)
  • Rapido recupero
  • Riduzione al minimo delle complicanze post-operatorie

Domande frequenti (FAQ)

L’intervento all’alluce valgo è doloroso?

Se eseguito con tecnica percutanea, il dolore è spesso assente o limitato alla sensazione di fastidio. Solo in alcuni casi il dolore si manifesta, ma sempre in forma comunque tollerabile e mai così grave come nella chirurgia tradizionale, per cui nei primi giorni può essere necessario l’uso di un analgesico. A tal fine, è molto importante la collaborazione del medico anestesista nell’utilizzo di anestetici di lunga durata e di trattamento preventivo del dolore prima della scomparsa dell’effetto dell’anestesia.

È necessaria la fisioterapia dopo l’intervento?

Non è necessaria in quanto il paziente può camminare in modo autonomo, senza l’ausilio di presidi.

È possibile operare entrambi i piedi contemporaneamente?

Poiché con la tecnica percutanea, è necessaria la deambulazione immediata, è altrettanta necessaria la possibilità di un appoggio sicuro su di un piede sano. Quindi non è possibile il trattamento bilaterale che diversamente costringerebbe il paziente ad un’andatura non corretta, con carico sbilanciato e di conseguenza un assetto errato delle fratture lasciate libero.

Dopo quanto tempo si può tornare a guidare?

Dopo l’intervento, è  consigliabile non tornare a guidare prima dei 20 giorni, al fine d assicurare una parziale stabilizzazione almeno fibrosa delle fratture, per non rischiare uno spostamento anomalo di queste.

Quando potrò tornare a praticare sport?

Non prima dei tre mesi se si tratta di sport praticati in stazione eretta, deambulazione, corsa. Diversamente, il buon senso fa la regola, considerando che finche il bendaggio è presente, questo deve essere preservato.

Che scarpe potrò indossare dopo l’intervento?

Subito dopo l’intervento, è necessario indossare una calzatura apposita che permetta di deambulare nonostante l’ingombro del bendaggio contenitivo. Poi, dopo tre / quattro settimane sarà possibile indossare una calzatura di numero superiore e a pianta e punta larga (es. calzatura maschile). A guarigione avvenuta, non vi sono limitazioni.

Qual è il periodo dell’anno migliore per l’intervento?

Ogni periodo ha i suoi vantaggi. In inverno, il freddo aiuta il controllo dell’edema e della sudorazione.
Più difficile, invece, il reperimento di una calzatura chiusa, che possa contenere la fasciatura senza costringere il piede.
In primavera e in estate se da un lato, la temperatura più elevata può facilitare sudorazione  e talvolta lieve macerazione cutanea sotto il bendaggio,  è tuttavia facile l’utilizzo di calzature aperte ed infradito.

Ho delle amiche che si sono sottoposte a tale intervento la cui la deformità si è manifestata di nuovo?

Con la tecnica percutanea la possibilità di recidiva della deformità si è ulteriormente ridotta, anche se pur sempre presente. In tali casi, si tratta di recidiva molto parziale, non dolorosa. Spesso, addirittura, si tratta più che di una recidiva, di una correzione non completa in casi a partenza particolarmente grave.

Questo testo è stato redatto dagli specialisti di Humanitas Mater Domini.
Nessuna parte di esso può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata.
Autore: Myriam Cecchi, équipe del Centro di Chirurgia del Piede
Data di pubblicazione: 18/03/2015

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Ambliopia (Occhio pigro) https://www.materdomini.it/malattie/ambliopia-occhio-pigro/ Sat, 13 Apr 2013 17:55:30 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/ambliopia-occhio-pigro/ Che cos’è l’ambliopia (occhio pigro)? L’ambliopia, o occhio pigro, interessa il 4% della popolazione mondiale ed è caratterizzata da una riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio o, più raramente, di entrambi. Dipende da un’alterata trasmissione del segnale nervoso tra l’occhio e il cervello per cui quest’ultimo privilegia un occhio a […]

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Che cos’è l’ambliopia (occhio pigro)?

L’ambliopia, o occhio pigro, interessa il 4% della popolazione mondiale ed è caratterizzata da una riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio o, più raramente, di entrambi. Dipende da un’alterata trasmissione del segnale nervoso tra l’occhio e il cervello per cui quest’ultimo privilegia un occhio a causa della ridotta acuità visiva dell’altro.

L’occhio pigro, o ambliopia, può essere determinato da patologie oculari che durante lo sviluppo dell’apparato visivo in età infantile (0-6anni) che impediscono allo stimolo luminoso di raggiungere la retina (per esempio la cataratta in età pediatrica, molto spesso congenita).Nella maggioranza dei casi si presenta in occhi perfettamente integri dal punto di vista anatomico. In questi occhi risulta alterata la corretta stimolazione sensoriale dell’apparato visivo, molto spesso a causa di difetti di refrazione non corretti. Allo stato delle conoscenze attuali, può essere trattata con possibilità di successo più o meno completo solo entro i primi 5-6 anni di vita.

Quali sono le cause dell’occhio pigro?

Le cause dell’ambliopia più comuni sono:

  • lo strabismo, cioè un anomalo allineamento degli occhi, provocato da un difetto dei meccanismi neuro-muscolari che ne controllano i movimenti
  • cataratta congenita e ptosi palpebrale
  • anisometropia, cioè una differente refrazione tra i due occhi

Quali sono i sintomi?

I segnali e i sintomi dell’ambliopia, o occhio pigro, sono molto raramente riferiti dal paziente perché è spesso troppo piccolo per denunciare una vista inferiore in un occhio rispetto all’altro. È per questo motivo che si raccomanda di effettuare una prima visita oculistica al bambino, anche in assenza di sintomi, entro i 3-4 anni di età. Attualmente vi è la tendenza ad anticipare ulteriormente la prima visita così che venga effettuata entro il primo anno di vita.

La diagnosi

É necessario sottoporsi ad una visita di oftalmologia pediatrica e ortottica.

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Aneurisma aorta addominale https://www.materdomini.it/malattie/aneurisma-aorta-addominale/ Sun, 02 Dec 2012 16:58:32 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/aneurisma-aorta-addominale/ Che cos’è l’aneurisma? Per aneurisma si intende una dilatazione localizzata e permanente di un’arteria dovuta al danno delle fibre elastiche e muscolari presenti nella parete. Il vaso, privo così della sua abituale elasticità, sotto la spinta della pressione del sangue, si allarga progressivamente. L’evoluzione naturale dell’aneurisma comporta un progressivo aumento di calibro del tratto di […]

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Che cos’è l’aneurisma?

Per aneurisma si intende una dilatazione localizzata e permanente di un’arteria dovuta al danno delle fibre elastiche e muscolari presenti nella parete. Il vaso, privo così della sua abituale elasticità, sotto la spinta della pressione del sangue, si allarga progressivamente.

L’evoluzione naturale dell’aneurisma comporta un progressivo aumento di calibro del tratto di arteria interessato fino all’inevitabile rottura del vaso.

L’aneurisma dell’aorta è una malattia molto diffusa: interessa il 6% circa della popolazione di età superiore a 60 anni ed è più frequente nei maschi. Gli aneurismi più frequenti interessano l’aorta addominale sottorenale, estendendosi qualche volta alle arterie iliache, cioè ai due rami principali di divisione dell’aorta diretti agli arti inferiori.

Quali sono i fattori di rischio di un aneurisma?

Ipertensione, familiarità, livelli elevati di colesterolo, diabete e fumo sono i fattori di rischio che contribuiscono alla formazione dell’aneurisma.

La diagnosi

Quasi sempre l’aneurisma dell’aorta addominale è totalmente asintomatico, ossia non dà segno della sua presenza. Molto spesso, infatti, viene diagnosticato in occasione di esami o visite eseguiti per altre ragioni.

Alcune volte può essere presente dolore al dorso ed alla regione lombare, dovuto alla compressione esercitata dall’aneurisma sui corpi vertebrali e sulle radici nervose.

Ben diversi sono i sintomi della rottura dell’aneurisma: dolori addominali o dorsali con anemia e calo importante dei valori di pressione arteriosa dovute all’emorragia. La comparsa di questi gravi disturbi richiede il ricovero in ospedale immediato per il trattamento.

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Aneurisma cerebrale https://www.materdomini.it/malattie/aneurisma-cerebrale/ Sat, 13 Apr 2013 09:32:01 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/aneurisma-cerebrale/ L’aneurisma é una dilatazione di un’arteria cerebrale. Le dimensioni possono variare da pochi millimetri a lesioni definite “giganti”, di diametri maggiori di 2.5 cm. L’aneurisma può interessare qualunque arteria cerebrale anche se con frequenza, e a volte sintomatologia, diversa. La classificazione degli aneurismi Gli aneurismi oltre che per le dimensioni e la sede possono essere divisi […]

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L’aneurisma é una dilatazione di un’arteria cerebrale. Le dimensioni possono variare da pochi millimetri a lesioni definite “giganti”, di diametri maggiori di 2.5 cm. L’aneurisma può interessare qualunque arteria cerebrale anche se con frequenza, e a volte sintomatologia, diversa.

La classificazione degli aneurismi

Gli aneurismi oltre che per le dimensioni e la sede possono essere divisi in due grosse famiglie:

  • Aneurismi rotti: quelli che determinano il quadro dell’emorragia subaracnoidea.
  • Aneurismi non rotti: lesioni spesso riscontrate occasionalmente in corso di altri accertamenti.

Circa il 4-5% della popolazione è portatrice di aneurismi, ma solo una minima quantità di questi darà segno di sé. L’aneurisma è di frequente localizzato nella biforcazione dei vasi cerebrali, segno che la causa è spesso embriologica. Una volta formatosi la sua storia naturale è variabile. Importanti co-fattori sono: ipertensione arteriosa, fumo, aneurismi multipli e patologie dei connettivi.

Nella maggior parte dei casi l’aneurisma rimane silente tutta la vita. Raramente aumenta progressivamente di dimensioni fino a dare sintomi da “effetto massa” (cefalea, compressione di nervi cranici con disturbi della motilità oculare, crisi epilettiche etc).

Una minima percentuale va incontro a rottura. Le dimensioni della sacca sono direttamente correlate al rischio di rottura. Un aneurisma minore di 6-7 mm ha un rischio di sanguinamento/anno basso; se è invece superiore a 7 mm è generalmente da trattare.

Esiste quindi un territorio di “penombra” intorno ai 5-7 mm, nel quale risulta necessaria una attenta valutazione da parte del team neuro vascolare, che deve valutare il rischio in base a età del paziente, forma dell’aneurisma, presenza di aneurismi multipli e tolleranza del paziente all’idea di avere un aneurisma non rotto, aspetto da non sottovalutare.

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Aneurismi rotti https://www.materdomini.it/malattie/aneurismi-rotti/ Sat, 13 Apr 2013 09:31:01 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/aneurismi-rotti/ L’aneurisma è una dilatazione di un’arteria cerebrale. Le dimensioni possono variare da pochi millimetri fino a lesioni, definite “giganti”, di diametri maggiori di 2.5 cm. L’aneurisma può interessare qualunque arteria cerebrale anche se con frequenza, e a volte sintomatologia, diversa. Che cosa sono gli aneurismi rotti? Gli aneurismi oltre che per le dimensioni e la sede […]

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L’aneurisma è una dilatazione di un’arteria cerebrale. Le dimensioni possono variare da pochi millimetri fino a lesioni, definite “giganti”, di diametri maggiori di 2.5 cm. L’aneurisma può interessare qualunque arteria cerebrale anche se con frequenza, e a volte sintomatologia, diversa.

Che cosa sono gli aneurismi rotti?

Gli aneurismi oltre che per le dimensioni e la sede possono essere divisi in due grosse famiglie: aneurismi rotti e aneurismi non rotti.Gli aneurismi rotti sono quelli che determinano l’emorragia subaracnoidea. Il quadro clinico del paziente varia da una semplice cefalea a stati di coma.L’emorragia subaracnoidea, che si verifica in seguito alla rottura di un aneurisma o di una qualsiasi malformazione cerebrale, consiste in uno spandimento di sangue a livello degli spazi subaracnoidei. Il cervello appare come “verniciato di sangue”.

L’incidenza della patologia è pari a 10 casi ogni 100.000 persone con mortalità o gravi condizioni di salute nel 60% dei casi. Questi dati sono indicativi di una malattia grave, complessa e con importante impatto familiare e sociale. Un terzo dei pazienti non arriva in ospedale per decesso improvviso.

Quali sono le cause degli aneurismi rotti?

Circa il 4-5% della popolazione è portatrice di aneurismi, ma solo una minima quantità di questi darà segno di sé. L’aneurisma è di frequente localizzato nella biforcazione dei vasi cerebrali, segno che la causa è spesso embriologica. Una volta formatosi la sua storia naturale è variabile. Importanti co-fattori sono: ipertensione arteriosa, fumo, aneurismi multipli e patologie dei connettivi.

Quali sono i sintomi degli aneurismi rotti?

In caso di aneurismi rotti con emorragia, l’aneurisma si rende evidente dopo il sanguinamento. Il sintomo più comune è caratterizzato da un’importante cefalea spesso con irradiazione nucale; questa cefalea è descritta come improvvisa. Spesso vi si associano stato confusionale, fotofobia, disturbi dei nervi cranici (disturbi della motilità oculare). Talvolta è presente anche un ematoma intraparenchimale con conseguenti disturbi motori. Sono frequenti pazienti in stato di coma.

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Angina pectoris https://www.materdomini.it/malattie/angina-pectoris/ Wed, 23 Jan 2013 15:04:00 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/angina-pectoris/ Che cos’è l’angina pectoris? L’angina pectoris (angina da sforzo o angina cronica stabile) è un dolore che si manifesta al petto e nelle zone circostanti (braccia, collo, schiena e anche mandibola) in seguito a una mancanza di ossigeno che riguarda il cuore. Quali sono le cause dell’angina pectoris? L’angina pectoris è una malattia coronarica che […]

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Che cos’è l’angina pectoris?

L’angina pectoris (angina da sforzo o angina cronica stabile) è un dolore che si manifesta al petto e nelle zone circostanti (braccia, collo, schiena e anche mandibola) in seguito a una mancanza di ossigeno che riguarda il cuore.

Quali sono le cause dell’angina pectoris?

L’angina pectoris è una malattia coronarica che inizia con il danno della parete interna delle coronarie.Si tratta di un processo lento che può avere inizio anche in giovane età.
Il danno alla parete coronarica può essere causato da diversi fattori:

  • fumo
  • familiarità (predisposizione genetica)
  • ipertensione arteriosa
  • dislipidemia
  • diabete mellito
  • radioterapia al torace (utilizzata nel trattamento di alcune forme di neoplasia)

In presenza di queste cause, la parete interna dell’arteria può danneggiarsi, favorendo la formazione di placche (depositi) composte da colesterolo ed altri prodotti cellulari che tendono ad accumularsi nel luogo in cui è avvenuto il danno arterioso.
Questo processo prende il nome di aterosclerosi. Se le placche si rompono, le cellule del sangue (piastrine) si attivano nel tentativo di riparare la superficie interna dell’arteria. Questo tentativo seppur idealmente protettivo, può tuttavia portare all’innesco di eventi che possono determinare la completa occlusione del vaso e dunque causare l’infarto miocardico.

Quali sono i sintomi dell’angina pectoris?

Quando le coronarie si ostruiscono, non possono garantire un adeguato apporto di sangue e nutrienti al cuore soprattutto in condizioni in cui questo ne richiede in quantità maggiori ad esempio quando deve contrarsi più rapidamente e quando deve generare una pressione sanguigna più elevata, come accade durante l’esercizio fisico o lo stress emotivo.
In presenza di placche aterosclerotiche ostruenti le coronarie si possono dunque manifestare i sintomi tipici della cardiopatia ischemica.

Tra questi ricordiamo:

  • dolore toracico (angina): dolore o fastidio con caratteristiche di oppressione, bruciore o pesantezza al torace (“come se qualcuno fosse seduto torace”). Questo fastidio, chiamato angina, è generalmente scatenato dallo stress fisico o emotivo. Generalmente scompare nell’arco di pochi minuti con l’interruzione dell’attività fonte di stress. In alcuni, generalmente nelle donne, può essere fugace o puntorio e manifestarsi a livello addominale, alle spalle o al dorso;
  • mancanza di fiato (dispnea).

La formazione delle placche aterosclerotiche ostruenti le coronarie è favorita da una serie di fattori di rischio il cui controllo è fondamentale nella prevenzione primaria (evitare la comparsa di angina in chi non la ha) o secondaria (evitare recidive in chi l’ha già avuta).

I fattori di rischio

Tra i fattori di rischio dell’angina pectoris (ma più in generale di arteriopatia aterosclerotica) si annoverano:

  • età: con l’aumentare degli anni aumenta il rischio di danno e ostruzione delle coronarie;
  • sesso: gli uomini hanno generalmente un rischio maggiore di malattia coronarica. Il rischio per le donne aumenta dopo la menopausa;
  • familiarità: il rischio diventa più alto se il padre o il fratello hanno sofferto di coronaropatia prima dei 55 anni, o la mamma o la sorella prima dei 65;
  • fumo: la nicotina contribuisce a ostruire le coronarie, il monossido di carbonio può invece danneggiarne la superficie interna;
  • ipertensione arteriosa: se non controllata può determinare l’indurimento e l’ispessimento della parete coronarica con conseguente ostruzione del canale (lume) attraverso cui scorre il sangue;
  • colesterolo alto: elevati livelli di colesterolo (in particolare di LDL cioè di colesterolo “cattivo”) nel sangue possono aumentare il rischio di formazione di placche e quindi di aterosclerosi. L’aterosclerosi può anche essere favorita da bassi livelli di colesterolo “buono” (HDL);
  • diabete mellito: diabete e angina pectoris condividono comuni fattori di rischio, come l’obesità e l’ipertensione;
  • obesità: l’obesità tipicamente peggiora gli altri fattori di rischio;
  • sedentarietà: la mancanza di esercizio si associa alla malattia coronarica e ad alcuni dei suoi fattori di rischio;
  • stress intenso ed incontrollabile: può sia danneggiare le arterie che peggiorare i fattori di rischio della malattia coronarica.

I fattori di rischio spesso coesistono ed ognuno può contribuire all’insorgenza dell’altro: l’obesità ad esempio contribuisce all’insorgenza del diabete e dell’ipertensione. Se si possiedono più fattori di rischio si ha un rischio maggiore di malattia coronarica. La sindrome metabolica, condizione che include ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, resistenza all’insulina ed eccesso di peso (addominale), predispone ad esempio ad un rischio maggiore di malattia delle coronarie.

La diagnosi

Gli esami richiesti per la diagnosi di angina pectoris comprendono:

ll trattamento dell’angina pectoris prevede il cambiamento dello stile di vita e l’assunzione di determinati tipi di farmaci.

Il trattamento

Cambiamenti dello Stile di Vita

  1. Astensione dal fumo Esercizio fisico regolare ed aerobico, aiuta a raggiungere e mantenere un peso adeguato evitando un aumento del colesterolo e della pressione arteriosa. L’obiettivo è quello di eseguire da 30 a 60 minuti di attività fisica più o meno tutti i giorni della settimana.
  2. Riduzione nell’assunzione di cibi contenenti acidi grassi saturi (es. formaggi ed insaccati etc.), colesterolo e sodio, può aiutare a controllare il peso, la pressione sanguigna e il colesterolo. Una dieta a base di frutta, verdura e cereali integrali con una o due porzioni di pesce alla settimana (quelli ricchi in omega-3) ha un effetto senza dubbio benefico sul sistema cardiovascolare.
  3. Riduzione del peso corporeo in eccesso. Essere in sovrappeso aumenta il rischio di malattia coronarica. Perdere anche solo qualche chilo può aiutare a ridurre la pressione sanguigna e ridurre il rischio di malattia coronarica.
  4. Controllo della pressione sanguigna (la pressione sanguigna ideale è inferiore a 140 come sistolica e 90 come diastolica, misurata in millimetri di mercurio-mmHg).
  5. Controllo del colesterolo. Se i risultati del test non sono entro i valori desiderabili, il medico può raccomandare misurazioni più frequenti e misure dietetiche o farmacologiche specifiche. La maggior parte delle persone dovrebbe mirare a un livello di LDL al di sotto di 130 milligrammi per decilitro (mg/dL), di 3,4 millimoli per litro (mmol/L). Se si è affetti da altri fattori di rischio cardiovascolare, il colesterolo LDL dovrebbe essere inferiore a 100 mg/dl (2.6 mmol/L).
  6. Controllo delle glicemie a digiuno e qualora affetti da diabete mellito fondamentale essere seguiti presso un centro diabetologico.
  7. Gestire lo stress praticando tecniche salutari per la gestione dello stesso, come il rilassamento muscolare e la respirazione profonda.

Farmaci

Sono numerosi i presidi farmacologici che possono essere indicati in pazienti con cardiopatia ischemica cronica. I principali sono: i farmaci che riducono la coagulabilità del sangue (antiaggreganti quali aspirina, clopidogrel, ticagrelor), che riducono il fabbisogno di sangue al cuore e la pressione arteriosa (beta-bloccanti, calcio antagonisti, ACE-inibitori e sartanici) che vaso dilatano le arterie coronariche (nitrati) e che riducono i livelli di colesterolo e trigliceridi (statine, Omega3, ezetinibe, fibrati).

Tecniche di Rivascolarizzazione Miocardica

Seppur la terapia farmacologica sia di primaria importanza nel trattamento dell’angina cronica stabile, tuttavia a volte non è sufficiente a garantire un controllo della sintomatologia. In questi casi è importante procedere all’esecuzione della coronarografia e dell’eventuale rivascolarizzazione miocardica percutanea (con l’angioplastica) o chirurgica (con il by-pass).

Angioplastica coronarica percutanea (PTCA) con impianto di stent: Si tratta di un trattamento mini-invasivo eseguito in anestesia locale attraverso l’inserimento di un piccolo catetere all’interno di un’arteria del polso (radiale) o dell’inguine (femorale) che viene fatto risalire sotto guida radiografica fino all’origine delle coronarie (osti).

Una volta identificata la stenosi coronarica dopo iniezione di mezzo di contrasto, si procede al posizionamento di un filo-guida nella coronaria a valle della stenosi seguita dall’avanzamento di un palloncino gonfiato in corrispondenza della stenosi e dal successivo impianto di una “maglietta” metallica (stent) con o senza rilascio di farmaco (stent medicato o non medicato). La placca aterosclerotica determinante la stenosi viene quindi schiacciata contro la parete dell’arteria ed intrappolata all’esterno dello stent. Solitamente si tratta di una procedura che richiede 2 giorni di ricovero.

È importante ricordare che dopo impianto di stent è necessario (al fine di evitare una chiusura acuta dello stesso con conseguente infarto) un periodo di duplice anti-aggregazione (cardioaspirina e clopidogrel) di durata variabile da un mese (dopo impianto di stent non medicato) a 6-12 mesi (dopo impianto di stent medicato).

La sospensione di uno degli antiaggreganti per vari motivi tra cui il più frequente rappresentato dalla necessità di intervento chirurgico andrà sempre concordato e valutato con il cardiologo di fiducia e se possibile l’intervento dovrebbe essere rimandato al termine del periodo di doppia antiaggregazione.

Bypass aorto-coronarico

Si tratta di un trattamento di chirurgia maggiore che richiede l’anestesia generale. Ad oggi viene eseguito soprattutto in casi di severo coinvolgimento di più coronarie ed in pazienti diabetici. Il cardiochirurgo utilizza arterie (mammaria) e vene (safena) prelevate dal paziente stesso che vengono poi suturate a valle del restringimento (“bypassandolo”) in modo tale da garantire un adeguato flusso sanguigno al muscolo cardiaco.

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Anoressia https://www.materdomini.it/malattie/anoressia/ Mon, 26 Feb 2018 11:50:22 +0000 https://www.materdomini.it/?post_type=disease&p=4897 Descritta per la prima volta dal medico Richard Morton nel 1964, l’anoressia colpisce in prevalenza adolescenti e giovani donne adulte, ma può insorgere anche in età avanzata. Studi recenti dimostrano che negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’incidenza di anoressia nei paesi occidentali, dove la magrezza è vista come simbolo di bellezza. L’anoressia è […]

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Descritta per la prima volta dal medico Richard Morton nel 1964, l’anoressia colpisce in prevalenza adolescenti e giovani donne adulte, ma può insorgere anche in età avanzata.

Studi recenti dimostrano che negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’incidenza di anoressia nei paesi occidentali, dove la magrezza è vista come simbolo di bellezza.

L’anoressia è caratterizzata clinicamente da un elevata perdita di peso fino al raggiungimento di un peso corporeo molto basso, realizzato attraverso un regime alimentare ipocalorico accompagnato da attività fisica eccessiva o dal vomito autoindotto o dall’uso di lassativi o diuretici. Se il disturbo non viene curato con un trattamento adeguato, non è raro che si sviluppi la bulimia nervosa, osservando la migrazione da un disturbo all’altro. Se protratta nel tempo, l’anoressia può portare a conseguenze gravissime per il soggetto che ne soffre e addirittura alla morte per le complicanze cliniche associate.

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Apnea notturna https://www.materdomini.it/malattie/apnea-notturna/ Wed, 25 May 2016 09:48:57 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/apnea-notturna/ Che cos’è l’apnea notturna? L’apnea notturna è un fenomeno abbastanza diffuso che si manifesta come conseguenza acuta del russamento. In particolare, il russare provoca la vibrazione delle pareti della gola, mentre l’apnea notturna genera un collasso totale delle pareti, ostruendo così il passaggio dell’aria. In questi casi, la persona sembra trattenere il respiro. Quest’azione viene […]

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Che cos’è l’apnea notturna?

L’apnea notturna è un fenomeno abbastanza diffuso che si manifesta come conseguenza acuta del russamento. In particolare, il russare provoca la vibrazione delle pareti della gola, mentre l’apnea notturna genera un collasso totale delle pareti, ostruendo così il passaggio dell’aria. In questi casi, la persona sembra trattenere il respiro. Quest’azione viene immediatamente intercettata dal cervello che va in protezione, tende ad aumentare l’ossigenazione e accelerare il respiro, causando anche l’interruzione del sonno.
Le apnee non determinano un blocco permanente del passaggio di ossigeno, ma sono fenomeni da controllare perché possono generare gravi complicazioni.

Quando è necessario rivolgersi a uno specialista?

La sindrome delle apnee notturne ostruttive (OSAS) deve essere curata quando il numero delle apnee (di almeno 10 secondi) è superiore a 5: al di sotto di tale valore possono essere considerate fisiologiche. Un sintomo che non deve comunque essere trascurato, anche se le apnee sono scarse, è la sonnolenza diurna. Si tratta di un segno di scarsa ossigenazione e di frequenti “risvegli” (arousal) durante il sonno, il quale risulta frammentato e non ben strutturato.

Quali sono i sintomi delle apnee notturne?

L’apnea notturna non è un fenomeno facilmente auto-diagnosticabile. Sono generalmente il partner o le persone che convivono con la persona che possono evidenziare il problema.
I sintomi sono di diversa natura

  • sonnolenza ingiustificata nel corso della giornata a causa dei continui risvegli notturni
  • difficoltà a rimanere svegli la sera, davanti alla televisione

Queste condizioni, inoltre, possono portare a colpi di sonno mentre si guida o alla difficoltà di prestare attenzione durante una riunione o un evento.

Quali sono le cause delle apnee notturne?

Le cause delle apnee notturne possono essere:

  • lo scarso stimolo del sistema nervoso, che fa perdere forza alla muscolatura della gola durante il sonno
  • un eccesso di volume dei tessuti (es.: palato voluminoso, tonsille ingrossate)

Fattori di rischio sono:

  • Obesità
  • Fumo

Come si diagnosticano le apnee notturne?

La diagnosi si fa mediante polisonnografia, spesso eseguita anche a domicilio, ovvero un esame non invasivo che analizza e monitora la funzione dell’apparato respiratorio durante una sessione di sonno.
Attraverso questo esame lo specialista, infatti, può capire quanti episodi di apnee notturne vengono registrati e con che frequenza si manifestano. Sulla base del referto verrà fornito un trattamento personalizzato, agendo in maniera mirata sulle cause che hanno scatenato la patologia.

Qual è il trattamento per le apnee notturne?

La terapia per curare il disturbo può essere medica e/o chirurgica.

Terapia medica

Una validissima terapia è la C.P.A.P. (Continous Positive Air Pressare) che consiste nell’applicare una mascherina a livello nasale, collegata ad un apparecchietto che insuffla aria. La continua immissione di aria ambiente a pressione nelle prime vie aeree, infatti, impedisce il loro rilassamento evitando così l’apnea ostruttiva. I risultati di questo dispositivo vengono chiaramente valutati durante una polisonnografia con CPAP applicata. Solo per i casi più gravi rappresentano l’unica possibilità di trattamento. Dopo alcuni mesi, si può in genere rivalutare il quadro e passare a sistemi più dissimulabili.

Ruolo importante è anche quello degli odontoiatri, che possono intervenire con dispositivi di avanzamento mandibolare, che hanno il vantaggio di andare ad ampliare lo spazio tra le pareti della gola.

In caso di necessità, può essere consigliato anche un calo ponderale, di aiuto per migliorare il quadro clinico a aumentare le possibilità di successo dei sistemi alternativi alla CPAP.

Lo specialista, infine, può anche valutare un intervento chirurgico per restituire la giusta stabilità alle prime vie aeree.

Terapia chirurgica

Le indicazioni alla terapia chirurgica (roncochirurgia) sono rappresentate sicuramente dalla necessità di modificare alterazioni o patologie delle prime vie aeree, che causano ostruzione al transito dell’aria. Il chirurgo interviene nei punti di maggior ristrettezza. Potranno essere operati il naso, il palato molle, la base della lingua, la mandibola, le tonsille, le adenoidi, ecc. con metodiche più o meno complesse.

Come si prevengono le apnee notturne?

Nella maggior parte dei casi è sufficiente seguire consigli dietologiciigienici (es: non fumare e non bere alcool) e farmacologici:

  • Dimagrire
  • Smettere di fumare
  • Non assumere alcool
  • Eliminare farmaci con effetto sedativo (es. antistaminici presi per altre problematiche)
  • Evitare di dormire supini (sulla schiena)

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Appendicite https://www.materdomini.it/malattie/appendicite/ Tue, 15 Jul 2014 12:39:47 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/appendicite/ Che cos’è l’appendicite? L’appendicite è un’infiammazione dell’appendice, organo cavo a fondo cieco localizzato nel tratto iniziale del colon. Si colloca nella porzione inferiore destra dell’addome. L’appendicite acuta rappresenta una delle cause più frequenti di dolore addominale e di accesso in Pronto Soccorso. Colpisce entrambi i sessi a tutte le età, con incidenza maggiore tra i […]

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Che cos’è l’appendicite?

L’appendicite è un’infiammazione dell’appendice, organo cavo a fondo cieco localizzato nel tratto iniziale del colon. Si colloca nella porzione inferiore destra dell’addome.

L’appendicite acuta rappresenta una delle cause più frequenti di dolore addominale e di accesso in Pronto Soccorso. Colpisce entrambi i sessi a tutte le età, con incidenza maggiore tra i 10 e i 30 anni.

Quali sono i sintomi dell’appendicite?

I sintomi tipici dell’appendicite sono:

  • Dolore (tipico al quadrante addominale inferiore destro). Sempre presente ma con presentazione e caratteristiche variabili. In alcuni casi il dolore può esordire ai quadranti superiori  (“alla bocca dello stomaco”) per poi localizzarsi in maniera marcata nella sua sede tipica. È importante differenziarlo da altre cause che possono provocare dolore addominale e risultare essere di pertinenza ginecologica (soprattutto nelle donne in età fertile) o urologica.
  • Febbre (> 38°C).
  • Disturbi gastrointestinali (nausea, gonfiore, inappetenza e vomito).

Nella maggior parte dei casi si associa un’elevata conta dei globuli bianchi (leucocitosi), riscontrabile agli esami del sangue eseguiti in concomitanza all’episodio acuto.

Quali sono le cause dell’appendicite?

La causa principale dell’appendicite è un’ostruzione, dovuta a feci, parassiti, crescita anormale del tessuto linfatico, corpi estranei e scorie alimentari, tumori. Il muco prodotto dall’appendice, si accumula e staziona al suo interno, causandone il rigonfiamento, la congestione e l’infezione a carico di batteri patogeni che proliferano e la infiammano sino ad indurne, a lungo andare, la cancrena e la perforazione.

La diagnosi

La diagnosi dell’appendicite è clinica, in quanto la visita del paziente dal parte del chirurgo è nella maggior parte dei casi risolutiva. Può essere utile il ricorso all’ecografia dell’addome (soprattutto in pazienti più magri) o, in un numero limitato di casi, ad una TAC dell’addome (pratica non usuale, ma talvolta necessaria in pazienti obesi o con quadro poco chiaro).

Il trattamento

Il trattamento dell’appendicite acuta o cronica può essere di tipo:

  • chirurgico. Con accesso “tradizionale” laparotomico, ossia con una piccola incisione al fianco destro (variabile a seconda della presentazione e della gravità del quadro acuto”) o ricorrendo ad un approccio in “laparoscopia”, con  benefici per il paziente in termini di diagnosi (specialmente in donne in età fertile e pazienti obesi), ripresa precoce e aspetto estetico della ferita.
  • Conservativo. In alcuni casi, si propone l’assunzione di antibiotici mirati volti a “raffreddare” il processo infettivo, in attesa di stabilire un iter diagnostico-terapeutico adeguato.

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Aritmie cardiache https://www.materdomini.it/malattie/aritmie-cardiache/ Mon, 30 Jan 2023 16:38:00 +0000 https://www.materdomini.it/?post_type=disease&p=29547 Quali sono le cause delle aritmie cardiache? Le aritmie possono interessare anche le persone con un cuore completamente sano oppure essere la conseguenza di un’altra malattia cardiaca (ad esempio l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, le valvulopatie o lo scompenso cardiaco). Talvolta alcune aritmie possono essere determinate dalla disfunzione di altri organi (ad esempio la tiroide […]

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Quali sono le cause delle aritmie cardiache?

Le aritmie possono interessare anche le persone con un cuore completamente sano oppure essere la conseguenza di un’altra malattia cardiaca (ad esempio l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, le valvulopatie o lo scompenso cardiaco). Talvolta alcune aritmie possono essere determinate dalla disfunzione di altri organi (ad esempio la tiroide o il rene) o dall’abuso di sostanze eccitanti (caffeina, alcol, droghe).

Tutte le aritmie compaiono per la presenza di una alterazione della funzione elettrica o della struttura del cuore (substrato aritmogeno), a volte di dimensioni così ridotte da non risultare visibile alle indagini strumentali. Fattori esterni (stress, sforzo fisico, digestione, sonno, ecc) possono determinare l’innesco di aritmie attivando il substrato aritmogeno, ma non ne sono mai la causa.

Quali sono i sintomi delle aritmie cardiache?

Alcune aritmie si manifestano in maniera del tutto o poco sintomatica. Quando presenti, i sintomi dipendono dal tipo di aritmia. Le extrasistoli possono essere avvertite come senso di “battito mancante” o irregolare. Le bradicardie, per effetto del rallentamento del battito cardiaco, possono determinare stanchezza, facile affaticabilità o svenimento (sincope). Le tachicardie (sopraventricolari e ventricolare), per effetto dell’anomala accelerazione del cuore, possono causare cardiopalmo, affanno e, quando il battito è molto veloce e provoca riduzione della pressione arteriosa, anche svenimento (sincope). Infine, alcune aritmie “maligne” sono responsabili dell’arresto cardiaco o della morte improvvisa.

Come possono essere diagnosticate le aritmie cardiache?

La diagnosi avviene registrando l’elettrocardiogramma in Pronto Soccorso o in Ambulatorio (se l’aritmia è presente).

Le registrazioni elettrocardiografiche prolungate, ad esempio attraverso l’ECG dinamico secondo Holter oppure il monitor cardiaco esterno o impiantabile, possono consentire la diagnosi di aritmie che si manifestano in maniera più sporadica.

Nei casi in cui è necessaria una diagnosi più accurata, non ottenibile con le registrazioni elettrocardiografiche, è necessario eseguire uno studio elettrofisiologico endocavitario.

Come si possono prevenire le aritmie cardiache?

Uno stile di vita salutare e il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare aiutano a prevenire l’insorgenza delle cardiopatie e riducono, quindi, anche il rischio di aritmie. Per le aritmie legate ad una predisposizione individuale, a volte ereditaria, non è possibile invece prevenire.

Quali sono i trattamenti per le aritmie cardiache?

I pazienti interessati da bradicardie sintomatiche potrebbe essere indicato l’impianto di un pace-maker. I pazienti con tachiaritmie possono essere utilizzati i farmaci antiaritmici, l’ablazione transcatetere o l’impianto di un defibrillatore automatico. Altre aritmie, invece, non necessitano di trattamento specifico.

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Arteriopatia periferica (AOP) https://www.materdomini.it/malattie/arteriopatia-periferica/ Sat, 13 Apr 2013 13:36:00 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/arteriopatia-periferica/ Che cos’è l’arteriopatia periferica? L’arteriopatia periferica (AOP) è un problema circolatorio che consiste nell’ostruzione delle arterie periferiche (iliache, femorali, sottogenicolari, ecc.) causata dalla presenza di restringimenti (stenosi) di varia natura che riducono la cavità (lume) delle arterie stesse. Le ostruzioni causano una riduzione del flusso sanguigno in un determinato territorio dell’organismo (di solito la muscolatura […]

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Che cos’è l’arteriopatia periferica?

L’arteriopatia periferica (AOP) è un problema circolatorio che consiste nell’ostruzione delle arterie periferiche (iliache, femorali, sottogenicolari, ecc.) causata dalla presenza di restringimenti (stenosi) di varia natura che riducono la cavità (lume) delle arterie stesse.

Le ostruzioni causano una riduzione del flusso sanguigno in un determinato territorio dell’organismo (di solito la muscolatura degli arti inferiori) con conseguente sintomatologia (es. dolore muscolare o claudicatio intermittens quando si cammina).

Quali sono le cause dell’arteriopatia periferica?

L’arteriopatia periferica è causata prevalentemente dall’aterosclerosi. Tuttavia è anche possibile che l’ostruzione delle arterie periferiche sia dovuta a processi infiammatori a carico della parete delle stesse (arteriti), traumi, esposizione alla radiazioni, varianti anatomiche di legamenti e muscoli.

Quali sono i fattori di rischio dell’arteriopatia periferica?

I principali fattori di rischio sono:

  • Fumo
  • Diabete mellito
  • Obesità (indice di massa corporea >30)
  • Ipertensione arteriosa (>140/90 mmHg)
  • Ipercolesterolemia (colesterolo totale >240 mg/dl)
  • Età
  • Familiarità per arteriopatia obliterante degli arti inferiori
  • Iperomocisteinemia

La diagnosi

La Visita cardiologica permette di sospettare la presenza di un’arteriopatia periferica quando:

  • visivamente si osservano aree di pelle di colorazione differente, dal rosso al bluastro, rispetto quelle circostanti;
  • con la palpazione si apprezza la riduzione o l’assenza di un polso (cioè la pulsazione dell’arteria femorale, poplitea, pedidea, ecc.)
  • con l’auscultazione si riscontra un soffio vascolare (rumore) segno di un flusso sanguigno turbolento a causa di un restringimento arterioso.

Ecocolordoppler arterioso

È un’indagine non invasiva che, tramite gli ultrasuoni definisce la struttura dell’arteria e grazie al colordoppler, permette di rilevare accelerazioni del flusso sanguigno che, al di sopra di un certo limite, sono indicative di un restringimento arterioso patologico.

Angio RM (Angio Risonanza Magnetica)

È un’indagine non invasiva radiografica che consente grazie, allo sfruttamento dei campi magnetici, di definire l’anatomia di un distretto arterioso ed eventuali restringimenti.

Angio TAC (Angio Tomografia Computerizzata)

È un’indagine non invasiva radiografica che consente, grazie all’iniezione di mezzo di contrasto, di definire l’anatomia di un distretto arterioso con eventuali restringimenti.

Arteriografia

Si tratta di un esame invasivo eseguito in anestesia locale. L’arteriografia prevede l’accesso arterioso attraverso puntura diretta dell’arteria in sede femorale, radiale, omerale etc., seguita dall’avanzamento di un catetere fino in prossimità delle sede da visualizzare in corrispondenza della quale si inietta il mezzo di contrasto che disegna l’anatomia arteriosa ed eventuali restringimenti che si visualizzeranno sul monitor di fronte l’operatore.

Il trattamento

In considerazione delle caratteristiche del restringimento (sede, lunghezza, severità), l’operatore potrà optare per eseguire l’angioplastica percutanea periferica (PTA) o la chirurgia classica

Gli obiettivi terapeutici dell’arteriopatia periferica sono essenzialmente due:

  • ridurre la sintomatologia e consentire un’attività fisica il più accettabile possibile;
  • prevenire l’evoluzione del processo patologico (aterosclerotico, infiammatorio etc) ad altri distretti (carotideo, renale, succlavio, ecc.) rispetto quello coinvolto.

Questi obiettivi possono essere raggiunti in primo luogo con modifiche al proprio stile di vita quali:

Stop al fumo

I prodotti ottenuti dalla combustione del tabacco possono danneggiare le arterie e favorire lo sviluppo di placche aterosclerotiche a livello delle arterie periferiche e non. Interrompere l’abitudine al fumo è fondamentale per ridurre la progressione dell’arteriopatia periferica (AOP). Qualora non si riesca ad interrompere consigliamo di chiedere al medico per supporti farmacologici.

Esercizio fisico

L’attività fisica (es. camminare) è di fondamentale importanza in presenza dell’arteriopatia periferica (AOP) poiché consente lo sviluppo di circoli collaterali che “by-passano” i segmenti arteriosi ostruiti ed inoltre allenano il muscolo ad utilizzare l’ossigeno in maniera più efficiente. Esistono specifici programmi d’esercizio per pazienti con AOP che dovranno essere tuttavia discussi con il proprio medico.

Dieta

Ridurre l’introduzione alimentare di grassi saturi, di sale e di zuccheri. Questi accorgimenti contribuiscono a ridurre la concentrazione di colesterolo e zuccheri nel sangue e di ridurre la pressione arteriosa, tutti fattori di rischio importantissimi nello sviluppo delle placche aterosclerotiche.

Qualora il cambiamento dello stile di vita non sia sufficiente a controllare l’eventuale sviluppo di restringimenti arteriosi periferici è sempre possibile ricorrere a terapie di tipo farmacologico. Sono numerosi i presidi farmacologici che possono essere indicati in pazienti con arteriopatia periferica. I principali sono: i farmaci che riducono la coagulabilità del sangue (antiaggreganti quali aspirina, ticlopidina, clopidogrel, cilostazol), che riducono la pressione arteriosa (calcio antagonisti, ACE- inibitori e sartanici ) e che riducono i livelli di colesterolo e trigliceridi (statine, Omega3, ezetinibe, fibrati).

Esistono inoltre una serie di procedure interventistiche:

Angioplastica percutanea periferica (PTA)

Si tratta di una procedura mini-invasiva eseguita in anestesia locale. Il cardiologo interventista (o il chirurgo vascolare o il radiologo interventista) la esegue inserendo un tubicino lungo e sottile (catetere) in un’arteria, generalmente a livello del polso (arteria radiale), dell’inguine (arteria femorale) o del braccio (arteria omerale), che viene avanzato fino in prossimità dell’arteria ristretta.

A tal punto si inietta del mezzo di contrasto per verificare sede ed entità del restringimento (arteriografia). Successivamente se l’arteria è passibile di trattamento percutaneo un filo-guida viene avanzato attraverso il catetere e poi all’interno dell’arteria chiusa o ristretta oltre l’ostruzione. In tal modo è possibile far scorrere sopra il filo-guida uno speciale pallone che, una volta in posizione, viene gonfiato per breve tempo allo scopo di riaprire l’arteria occlusa. A seguire può essere impiantato uno stent a maglia metallica per tenere aperto il punto critico a lungo termine.

In alcuni casi l’ostruzione arteriosa è così severa in termini di restringimento e lunghezza o localizzazione che la PTA non risulterebbe essere associata ad un buon rapporto rischio/beneficio. In questi casi l’AOP verrà indirizzata al trattamento chirurgico tramite:

Tromboendoarterectomia (TEA)

È un intervento che richiede il taglio chirurgico ed un’anestesia profonda. Consiste nella “pulizia” da parte del chirurgo vascolare del segmento di arteria dove sono localizzate le placche aterosclerotiche che verranno così rimosse.

By-pass

È un intervento che richiede il taglio chirurgico ed un’anestia profonda. Consiste nell’utilizzo di condotti in dacron o in vena che consentono al chirurgo vascolare di creare una connessione ponte tra i segmenti di arteria sani a monte ed a valle di quello occluso o severamente ristretto che viene così “bypassato”.

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Artrite alle mani https://www.materdomini.it/malattie/artrite-alle-mani/ Wed, 25 Feb 2015 14:54:51 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/artrite-alle-mani/ Molte artriti interessano le mani. Un’artrite la cui tipicità è quella di colpire proprio le mani è l’artrite reumatoide, malattia autoimmune caratterizzata da uno stato infiammatorio cronico che provoca dolore, tumefazione e rigidità articolare. Le articolazioni più colpite, oltre a quelle delle mani, sono quelle dei polsi e dei piedi ma, a parte la colonna […]

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Molte artriti interessano le mani. Un’artrite la cui tipicità è quella di colpire proprio le mani è l’artrite reumatoide, malattia autoimmune caratterizzata da uno stato infiammatorio cronico che provoca dolore, tumefazione e rigidità articolare.

Le articolazioni più colpite, oltre a quelle delle mani, sono quelle dei polsi e dei piedi ma, a parte la colonna dorso-lombo-sacrale. Qualsiasi articolazione può esserne interessata, persino quella tra la I e la II vertebra cervicale (atlo-epistrofeica).

Il processo di degenerazione articolare che consegue alla artrite può portare alla limitazione dei movimenti e della funzionalità delle articolazioni interessate.

Anche l’artrosi può causare dolore e deformità alle mani e talvolta è difficile distinguere tare l due malattie se non per la localizzazione più tipica alle interfalangee distali delle dita nella artrosi rispetto alla localizzazione alle interfalangee prossimali delle dita più tipica della artrite.

Che cos’è l’artrite alle mani?

L’artrite reumatoide alle mani e ai polsi si manifesta solitamente in modo simmetrico. Lo stato infiammatorio cronico tipico di questa malattia autoimmune può portare a una completa distruzione delle strutture articolari colpite dalla patologia.

L’artrite può interessare persone di qualsiasi età, ma è più frequente nei soggetti di sesso femminile tra i 40 e i 50 anni.

Quali sono le cause dell’artrite alle mani?

Nonostante la causa all’origine di questa patologia non sia ancora conosciuta, si ritiene lo sviluppo venga favorito dalla compresenza di diversi fattori (ambientali, genetici, ormonali e infettivi). Questa forma di artrite viene innescata da un’attivazione anomala del sistema immunitario contro la membrana che riveste le articolazioni (membrana sinoviale).

Quali sono i sintomi dell’artrite alle mani?

Le manifestazioni tipiche dell’artrite reumatoide sono la presenza di infiammazione articolare che si manifesta con arrossamenti, gonfiore, dolore e rigidità.

Le sedi più colpite dall’artrite a livello delle mani sono le articolazioni metacarpo-falangee e interfalangee prossimali, oltre ai polsi.

L’artrite alle mani, oltre alle articolazioni, può coinvolgere poi anche i tendini circostanti, provocando deformità alle dita. Stanchezza, malessere generale, perdita di peso, indolenzimento muscolare, febbre, secchezza degli occhi e della bocca sono altri sintomi non articolari che vengono spesso riportati dai soggetti che soffrono di questa condizione.

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi di artrite reumatoide sono fondamentali il riconoscimento dei sintomi e dei segni riferiti dal paziente e osservati durante la visita medica.

Alcuni esami possono inoltre aiutare il medico nella definizione della diagnosi:

Poiché per questa malattia non esiste una cura definitiva, l’obiettivo dei trattamenti attualmente somministrati è ridurre i sintomi e bloccare i danni prima che diventino permanentemente alteranti la funzione articolare.

Quattro sono le classi in cui vengono abitualmente suddivisi i farmaci utilizzati per il trattamento dell’artrite reumatoide:

  • anti-infiammatori non steroidei (FANS): vengono impiegati per ridurre l’infiammazione articolare e l’intensità dei sintomi, ma non hanno alcun effetto sulla progressione della malattia;
  • corticosteroidi: intervengono sull’infiammazione in fase sia precoce che tardiva, ma il loro utilizzo deve essere effettuato sotot controllo e limitato a causa degli effetti collaterali anche importanti a cui possono dar vita;
  • DMARDs (Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs): sono farmaci in grado di migliorare notevolmente i sintomi, la funzionalità articolare e la qualità di vita della maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide;
  • farmaci biotecnologici: agiscono in modo mirato su alcune molecole prodotte dall’organismo di chi è affetto da questa patologia e che risultano dannose per le articolazioni e gli organi eventualmente coinvolti.

Poiché l’artrite reumatoide ha origine autoimmune, è molto difficile parlare di prevenzione. Alcuni comportamenti virtuosi possono però comunque essere messi in pratica per migliorare il benessere delle articolazioni. In generale, quindi, è bene quindi evitare condizioni come sovrappeso e obesità (l’eccesso di peso contribuisce all’infiammazione delle articolazioni), non fumare e mantenersi attivi fisicamente per preservare il più a lungo possibile l’elasticità delle articolazioni stesse.

Per maggiori informazioni, consulta l’attività clinica e i medici dell’Ambulatorio di Reumatologia di Humanitas Mater Domini.

 

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Artrite psoriasica https://www.materdomini.it/malattie/artrite-psoriasica/ Wed, 25 Feb 2015 15:15:24 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/artrite-psoriasica/ L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni e provoca dolore, gonfiore, rigidità. La malattia colpisce i soggetti affetti da psoriasi o che hanno familiari con questa malattia. Che cos’è l’artrite psoriasica? L’artrite psoriasica consiste in una malattia infiammatoria a carico delle articolazioni come mani, gomiti, ginocchia, caviglie e piedi. È una […]

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L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni e provoca dolore, gonfiore, rigidità. La malattia colpisce i soggetti affetti da psoriasi o che hanno familiari con questa malattia.

Che cos’è l’artrite psoriasica?

L’artrite psoriasica consiste in una malattia infiammatoria a carico delle articolazioni come mani, gomiti, ginocchia, caviglie e piedi. È una malattia cronica, quindi destinata a durare a lungo e spesso tutta la vita. È strettamente collegata alla psoriasi, una malattia della pelle che deriva da un difetto del sistema immunitario e che colpisce i pazienti con la comparsa intermittente di chiazze rosse ricoperte di placche squamose di colore bianco-argenteo in numerose aree del corpo, alcune delle quali sono sedi cosiddette tipiche della localizzazione psoriasica. La malattia colpisce con maggiore frequenza tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti distinzione di sesso sia i soggetti con le tipiche lesioni della psoriasi che i familiari di pazienti psoriasici. A volte, in un paziente affetto da artropatia psoriasica, l’interessamento cutaneo può apparire anche dopo la comparsa della artrite.

Quali sono le cause dell’artrite psoriasica?

Il meccanismo che causa la malattia non è ancora del tutto noto, ma è ormai chiara l’origine autoimmune, vale a dire legata ad un difetto del sistema immunitario che erroneamente aggredisce cellule sane dell’organismo provocandone l’infiammazione. Fattori genetici e ambientali, insieme ad alcune infezioni, sono allo stato considerati i maggiori imputati per la malattia.

Quali sono i sintomi dell’artrite psoriasica?

Vi sono varie forme di artropatia psoriasica :

  • L’artrite psoriasica periferica si caratterizza per alcuni sintomi prevalenti come dolore, gonfiore e rigidità delle articolazioni periferiche. Si tratta di sintomi spesso intermittenti: come nel caso della psoriasi si alternano periodi di remissione, in cui i sintomi tendono a scomparire parzialmente o totalmente, con altri di recrudescenza. L’entità dei sintomi è varia, possono essere lievi o gravi e anche la localizzazione differisce: talvolta si presentano in maniera simmetrica su entrambe le articolazioni, confondendosi con i sintomi dell’artrite reumatoide.
  • La spondiloartrite che colpisce prevalentemente la colonna vertebrale;
  • E la forma prettamente entesitica che colpisce prevalentemente le entesi cioè i punti in cui i tendini si attaccano al capo osseo;
  • Spesso la parte entesitica accompagna la artrite periferica.

Ma la malattia può colpire anche i tessuti di altri organi come occhi, cuore, polmoni e reni.

A seconda dell’area interessata dall’infiammazione si presentano sintomi diversi:

  • se colpisce mani e piedi le dita assumono la tipica forma a salsicciotto (dattilite).
  • nei piedi provoca dolore e infiammazione di tendini e legamenti nel punto in cui questi si ancorano all’osso. Con maggiore frequenza si hanno tendinite di Achille e fascite plantare.
  • colonna vertebrale. In questo caso si manifesta con dolore lombare o dolore ai glutei, dovuti all’infiammazione dell’area tra le vertebre (spondilite) o delle articolazioni sacroiliache (sacroileite).

La Diagnosi

La malattia viene diagnosticata attraverso un esame completo del paziente che comprende l’osservazione e il monitoraggio dei sintomi, la ricostruzione della sua storia e alcuni esami di laboratorio.Non esiste un esame specifico per diagnosticare l’artrite psoriasica, ma si possono eseguire esami in grado di escludere le altre forme di artrite, come gotta e artrite reumatoide.Un fattore indicativo per la diagnosi è lo stato di infiammazione generale del paziente che viene stabilito tramite l’esame della proteina C-reattiva (PCR). Si tratta di un marker diagnostico che fotografa lo stato infiammatorio del paziente anche in presenza di un’infezione e quindi per identificare la malattia sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici.Tra di questi il test genetico per la ricerca del gene HLA-B27 che è presente nel 50% dei pazienti con artrite psoriasica che interessi la colonna vertebrale.Nel caso in cui la malattia colpisca grandi articolazioni, come il ginocchio, si può procedere all’esame del fluido contenuto nell’articolazione, il liquido sinoviale, prelevato mediante artrocentesi.Gli altri esami per valutare le articolazioni coinvolte sono la radiografia, l’ecografia e la Risonanza Magnetica (RM).

I Trattamenti

Psoriasi e artrite psoriasica sono malattie croniche che non hanno, al momento, una cura definitiva, ma sono allo studio numerose terapie di nuova generazione che promettono un contrasto più efficace a queste malattie. Le terapie a disposizione per la cura dell’artrite psoriasica permettono un buon controllo della malattia e includono farmaci tradizionali DMARDs, come il methotrexate, la leflunomide, la sulfasalazina, ecc. e farmaci “biotecnologici” che bloccano il TNF alfa, molecola centrale nell’infiammazione.

La Prevenzione

L’artrite psoriasica non può essere prevenuta, ma con una diagnosi precoce ai primi segni della malattia o in presenza di casi familiari e una terapia tempestiva, si possono fermare i danni che a lungo andare possono causare una disabilità permanente al paziente.

Per maggiori informazioni, consulta l’attività clinica e i medici dell’Ambulatorio di Reumatologia di Humanitas Mater Domini.

 

Questo testo è stato redatto dagli specialisti di Humanitas Mater Domini. Nessuna parte di esso può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata. Autore: Rosangela Bianchi, Ambulatorio di Reumatologia Data di pubblicazione: 20/03/2015

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Artrite reaumatoide https://www.materdomini.it/malattie/artrite-reaumatoide/ Thu, 18 Sep 2014 14:52:42 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/artrite-reaumatoide/ L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica a patogenesi autoimmune che, se non trattata adeguatamente, è progressiva ed invalidante. L’artrite reumatoide colpisce le articolazioni provviste di membrana articolare, ma talora anche altri organi ed apparati, quali il polmone, l’occhio, la cute, il rene, ecc. Non è una malattia rara, dal momento che colpisce circa il […]

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L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica a patogenesi autoimmune che, se non trattata adeguatamente, è progressiva ed invalidante.

L’artrite reumatoide colpisce le articolazioni provviste di membrana articolare, ma talora anche altri organi ed apparati, quali il polmone, l’occhio, la cute, il rene, ecc.

Non è una malattia rara, dal momento che colpisce circa il 4 per mille della popolazione italiana: predilige le donne tra i 40 e 60 anni, anche se può comparire in qualsiasi età della vita.

I sintomi dell’artrite reumatoide sono:

  • tumefazione delle piccole articolazioni tipicamente delle dita delle mani e dei piedi, dovuta alla presenza di versamento articolare; tuttavia tutte le articolazioni possono venire coinvolte dal processo artritico;
  • dolore articolare, talora associato ad arrossamento della cute sovrastante;
  • rigidità delle articolazioni con difficoltà a muoverle, soprattutto al mattino, che tende a ridursi progressivamente con il movimento, con il calore, con il trascorrere delle ore;
  • comparsa di erosioni ossee che distruggono e deformano le articolazioni.

La diagnosi

La diagnosi dell’artrite reumatoide è prevalentemente di tipo clinico, basandosi su una anamnesi ed una visita accurata da parte dello specialista: il reumatologo.

A conferma della diagnosi vengono richiesti esami di laboratorio, quali gli indici di infiammazione (VES e PCR) e quelli per individuare la presenza degli anticorpi implicati nella genesi della patologia (il fattore reumatoide e gli anticorpi antipeptide citrullinato ciclico).

Per valutare e seguire nel tempo la presenza di lesioni articolari, si utilizzano radiografie, TAC, risonanze magnetiche ed ecografie.

È molto importante effettuare una diagnosi precoce, in quanto è proprio nei primi mesi della malattia che si manifestano i danni più sostanziali e spesso irreversibili e che la terapia farmacologica ottiene il massimo dell’effetto, con la possibilità di mandare la malattia in remissione protratta.

I Trattamenti

Il trattamento dell’artrite reumatoide è principalmente farmacologico: oggi sono a disposizione farmaci molto efficaci, in grado di curare al meglio questa malattia, con un approccio personalizzato e concordato con il paziente.

I farmaci vengono somministrati generalmente per via sistemica, ma talora possono essere utili infiltrazioni locali con cortisonici ad azione locale prolungata.

In alcune fasi della malattia possono essere di grande utilità anche sedute di fisioterapia, applicazione di tutori e, nei casi più gravi, anche interventi chirurgici ortopedici di correzione o di protesizzazione articolare per ripristinare la piena funzionalità delle articolazioni compromesse dalla malattia.

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Artrosi https://www.materdomini.it/malattie/artrosi/ Wed, 25 Feb 2015 15:25:53 +0000 https://www.materdomini.it/malattie/artrosi/ Che cos’è l’artrosi? L’artrosi è una patologia degenerativa causata principalmente dall’usura e invecchiamento delle articolazioni. Più nel dettaglio, a deteriorarsi è la cartilagine, il tessuto connettivo caratterizzato da resistenza ed elasticità in grado di ridurre l’attrito tra le ossa. Colpisce la maggior parte delle articolazioni, soprattutto quelle sottoposte maggiormente a stress: anche, ginocchia e colonna vertebrale. Può anche interessare […]

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Che cos’è l’artrosi?

L’artrosi è una patologia degenerativa causata principalmente dall’usura e invecchiamento delle articolazioni. Più nel dettaglio, a deteriorarsi è la cartilagine, il tessuto connettivo caratterizzato da resistenza ed elasticità in grado di ridurre l’attrito tra le ossa. Colpisce la maggior parte delle articolazioni, soprattutto quelle sottoposte maggiormente a stress: ancheginocchia e colonna vertebrale. Può anche interessare le articolazioni delle mani e dei piedi.

Prima dei 50 anni l’artrosi interessa in modo uguale uomini e donne. Dopo i 50 anni colpisce maggiormente le donne in post-menopausa.

Quali sono le cause dell’artrosi?

L’artrosi è una patologia multifattoriale per la quale sono stati identificati diversi fattori di rischio, tra cui:

  • Familiarità
  • Sovrappeso e obesità. L’eccesso di peso, infatti, sovraccarica le articolazioni, danneggiando soprattutto quelle delle ancheginocchia e piedi;
  • Fratture e lesioni articolari;
  • Posizioni forzate oppure il continuo utilizzo di alcune articolazioni
  • Alcuni sport (nel calcio, ad esempio, si ha un’usura precoce delle cartilagini di piedi e ginocchia);
  • Malattie circolatorie che provocano danni alle articolazioni (come l’emofilia e l’osteonecrosi vascolare);
  • Alcune forme di artrite (gotta, pseudo gotta o artrite reumatoide) che danneggiano l’articolazione e la rendono maggiormente soggetta ai danni della cartilagine.
  • Alcune professioni

Artrosi primaria e secondaria

L’ artrosi può essere di due tipi:

  • primaria, causata da fattori genetici che rendono la cartilagine particolarmente debole e predisposta all’usura
  • secondaria, nella quale si riconoscono come fattori favorenti: pregressi traumi, anche piccoli o passati inosservati, o malattie infiammatorie articolari.

Quali sono i sintomi dell’artrosi?

I sintomi che più comunemente caratterizzano l’artrosi sono:

  • Dolore. Inizialmente, il dolore si avverte in maniera maggiore dopo l’esercizio fisico oppure quando si carica peso sull’articolazione malata; risulta più intenso di sera e si attenua con il riposo. Nell’artrosi, il dolore può essere causato, oltre che dal deterioramento della cartilagine, anche dall’infiammazione secondaria dei tendini e dei legamenti presenti nell’articolazione. Nei casi più gravi, le ossa possono arrivare a sfregarsi tra loro.
  • Rigidità articolare. Molti pazienti all’inizio di un movimento effettuato con l’articolazione malata percepiscono un cedimento dell’articolazione stessa e affermano di sentire un particolare rumore, noto come “scroscio” articolare.
  • Limitazione nei movimenti dell’articolazione colpita.
  • Gonfiore e arrossamento
  • Deformazioni: alle mani, l’artrosi si può manifestare con i “noduli di Heberden” e di “Bouchard”, deformazioni che colpiscono le articolazioni interfalangee delle dita. Entrambi i disturbi sono determinati da deformazioni ossee. Possono essere dolorosi nel momento in cui si formano e provocare anche una limitazione dei movimenti. L’artrosi della colonna vertebrale, invece, può portare alla formazione di osteofiti che fuoriescono dalle vertebre, irritando alcuni nervi e provocando quindi dolore, formicolio e intorpidimento di alcune aree del corpo.

La diagnosi per l’artrosi

Per effettuare la diagnosi di artrosi gli specialisti di riferimento sono l’ortopedico, fisiatra o reumatologo), i quali si avvalgono di:

  • una visita medica, durante la quale eseguire una valutazione dello stato di salute delle articolazioni e della sintomatologia;
  • indagini radiologiche, che possono mettere in evidenza una riduzione dello spazio fra le articolazioni, alterazioni del profilo dell’osso, la formazione di osteofiti o di lesioni delle articolazioni;
  • altre tecniche di imaging (RMTACecografia) per approfondire la salute delle articolazioni o prepararsi ad interventi chirurgici ortopedici.

Il percorso multidisciplinare

Non esiste un trattamento risolutivo per l’artrosi. Proprio per la multifattorialità della patologia e la possibilità di agire su alcuni dei fattori di rischio, però, l’approccio multidisciplinare può essere considerato il gold standard per il trattamento dei suoi sintomi.

In questo caso, il lavoro sinergico dell’équipe (composta da Ortopedici, Dietologa, Fisiatra e Fisioterapista), permette di tenere sotto controllo i diversi fattori di rischio. Nel caso le terapie conservative non portassero risultati positivi, il paziente può contare sulla professionalità ed esperienza degli specialisti di Humanitas Mater Domini anche nel percorso chirurgico.

Trattamenti conservativi per l’artrosi

La più comune terapia medica è basata sulla somministrazione di antidolorifici, per limitare il dolore e permettere il movimento articolare.

Importante anche l’uso di un’appropriata terapia antinfiammatoria per rallentare l’evoluzione dei danni causati dall’artrosi.

Quando l’artrosi riguarda un’articolazione specifica è possibile effettuare infiltrazioni con acido ialuronico. L’utilizzo di corticosteroidi è limitato a casi particolari.

Terapie rigenerative per l’artrosi

Nei casi in cui la patologia sia lieve o moderata, l ’uso di cellule mesenchimali estratte dal tessuto lipidico del paziente rappresenta la nuova frontiera della medicina rigenerativa in campo ortopedico.

Importante anche l’uso di infiltrazioni con plasma che in questo caso hanno un effetto antinfiammatorio focalizzato soprattutto sulla membrana sinoviale.

Trattamenti chirurgici per l’artrosi

Nei casi più gravi, quando tutti questi trattamenti non risultano efficaci, il paziente può essere sottoposto all’impianto di protesi.

  • Per l’impianto di protesi di ginocchio, è disponibile un percorso di cura robotizzato. Dalla valutazione clinica all’operazione fino alla fisioterapia, lo specialista è supportato dalla robotica e Intelligenza Artificiale.
  • Per l’impianto di protesi d’anca, oggi la tecnica chirurgica è mininvasiva e permette di non sezionare muscoli o legamenti, riducendo significativamente il rischio di lussazione o zoppia post operatoria.

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