Le tachicardie sopraventricolari sono aritmie che nascono dalle camere superiori del cuore (atri) o dal punto di collegamento elettrico tra camere superiori ed inferiori (giunzione atrio-ventricolare), caratterizzate da una elevata frequenza cardiaca (maggiore di 100 battiti al minuto). Molto spesso queste aritmie si manifestano in forma “parossistica” (cioè con inizio e fine improvvise separate da un lungo periodo di stabilità), più raramente hanno carattere iterativo (si presentano e scompaiono continuamente) o incessante (sono quasi sempre presenti e ricompaiono immediatamente dopo una transitoria interruzione).
Sono comprese in questo gruppo le seguenti aritmie:
- Tachicardia atriale
- Tachicardia da rientro nodale
- Tachicardia da rientro atrio-ventricolare (della sindrome di Wolff-Parkinson-White)
La tachicardia atriale si manifesta in soggetti di tutte le età mentre le tachicardie da rientro nodale e quelle della sindrome di Wolff-Parkinson-White spesso compaiono già in età pediatrica o giovanile. Tra tutte, la forma più comune è la tachicardia da rientro nodale che si osserva soprattutto nelle donne.
Quali sono i sintomi delle tachicardie sopraventricolari?
La contrazione rapida (tachicardia), a volte irregolare, del cuore può determinare un inadeguato flusso di sangue nel corpo e quindi produrre dei sintomi avvertiti dal paziente. I principali sono:
- palpitazioni (sensazione di battito accelerato ed irregolare)
- debolezza o incapacità di eseguire la normale attività fisica
- affanno
- sensazione di “testa vuota”
- sensazione di mancamento
- svenimento
In rari casi i disturbi possono essere molto lievi o addirittura assenti e l’aritmia viene scoperta occasionalmente durante una visita medica eseguita per altri motivi. In presenza di sintomi o segni suggestivi della presenza di una tachicardia sopraventricolare è opportuno che il medico di medicina generale indirizzi il paziente a un consulto con uno specialista elettrofisiologo (un cardiologo che si occupa delle aritmie cardiache). Nei casi di maggiore gravità, invece, è necessario un rapido accesso al Pronto Soccorso.
Quali sono le cause delle tachicardie sopraventricolari?
La maggior parte delle tachicardie sopraventricolari non sono legate alla presenza di una malattia cardiaca, ad eccezione delle tachicardie atriali che, invece, si manifestano più spesso in pazienti con una cardiopatia acquisita (ipertensione arteriosa, pregresso infarto, insufficienza cardiaca, malattia valvolare, ecc) oppure congenita.
Classificazione delle aritmie sopraventricolari
Nella maggior parte dei casi la tachicardia sopraventricolare è legata alla presenza di un “corto-circuito” elettrico del cuore (circuito di rientro) che si attiva in presenza di condizioni favorenti dando origine alla tachicardia. Più raramente, l’aritmia è dovuta, invece, all’attivazione molto rapida di un gruppo di cellule (focus) localizzate in un’area differente da quella da dove normalmente si genera l’attività elettrica del cuore (nodo del seno):
- Tachicardia atriale: può essere generata da presenza di un focus o di un circuito di rientro localizzato in una delle camere superiori del cuore (atrio destro o sinistro)
- Tachicardia da rientro nodale: è legata alla presenza di un circuito di rientro localizzato in prossimità della giunzione atrio-ventricolare. Nei soggetti predisposti, le particolari caratteristiche elettriche dei tessuti che compongono la giunzione atrio-ventricolare fanno si che questa sia composta di una o più “vie di conduzione” tra loro collegate. Il corto-circuito può essere attivato in differenti direzioni dando origine a diverse tachicardie (tachicardia da rientro nodale tipica o atipica)
- Tachicardia da rientro atrio-ventricolare: è legata alla presenza di un circuito di rientro costituito da un fascio muscolare che costituisce una via di conduzione atrio-ventricolare accessoria (via anomala) ed il normale sistema di conduzione atrio-ventricolare del cuore. Il corto-circuito può essere attivato in due direzioni dando origine alla tachicardia da rientro atrio-ventricolare ortodromico o antidromico.
Quali sono le conseguenze delle tachicadie sopraventricolari?
Le tachicardie sopraventricolari sono in genere responsabili di un peggioramento della qualità della vita dovuto ai sintomi, all’assunzione dei farmaci o agli accessi in Pronto Soccorso per l’arresto dell’aritmia. Nei pazienti con una grave cardiopatia o in rari soggetti predisposti, un’elevata frequenza cardiaca e una lunga durata dell’aritmia (forme iterative o incessanti) possono portare ad una riduzione della funzione di pompa del cuore (tachicardiomiopatia).
Nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White, le particolari caratteristiche della via accessoria possono permettere il raggiungimento di frequenze cardiache molto elevate, soprattutto in caso di aritmie quali la fibrillazione o il flutter atriale. In queste circostanze è possibile che il paziente perda coscienza (svenimento) e/o che l’aritmia si trasformi in una fibrillazione ventricolare con arresto cardiaco e morte improvvisa in assenza di una rianimazione efficace (defibrillazione). Quest’ultimo evento è rarissimo (meno di 2 individui ogni 1000 affetti dalla sindrome di Wolff-Parkinson-White). Per queste ragioni, i pazienti, anche se asintomatici, con una via accessoria atrio-ventricolare diagnosticata attraverso un elettrocardiogramma non dovrebbero svolgere attività sportiva agonistica e dovrebbero consultare un elettrofisiologo (un cardiologo che si occupa delle aritmie cardiache) per l’esecuzione di ulteriori indagini diagnostiche finalizzate alla stratificazione del rischio aritmico (studio elettrofisiologico).
Diagnosi
La diagnosi della tachicardia sopraventricolare avviene a seguito della registrazione dell’elettrocardiogramma eseguita generalmente in Pronto Soccorso durante i sintomi o, più raramente, in maniera occasionale. Per completare la diagnosi potrebbero essere indicate anche ulteriori indagini:
- ECG dinamico delle 24 ore sec. Holter
- Ecocardiogramma
- Ecocardiogramma transesofageo
- Test Ergometrico
- Studio elettrofisiologico endocavitario
Trattamenti
Il trattamento delle tachicardie sopraventricolari ha principalmente l’obiettivo di ridurre i sintomi legati all’aritmia. Nei casi associati ad una riduzione della funzione di pompa del cuore (tachicardiomiopatia), il trattamento è volto anche a migliorare la contrattilità cardiaca, mentre nei pazienti affetti da sindrome di Wolff-Parkinson-White lo scopo è quello di ridurre il rischio (già estremamente basso) di morte improvvisa da arresto cardiaco.
L’episodio acuto, se non termina spontaneamente, può essere interrotto durante un accesso in Pronto Soccorso attraverso delle manovre fisiche o somministrazione di farmaci per via endovenosa. Per la prevenzione delle recidive aritmiche possono essere utilizzati farmaci antiaritmici somministrati per bocca oppure può essere eseguita una procedura interventistica, chiamata ablazione transcatetere.
I farmaci antiaritmici più comunemente usati sono la Flecainide, il Propafenone, il Sotalolo, l’Amiodarone, il Dronedarone, il Verapamil ed i beta-bloccanti (Atenololo, Metoprololo, Carvedilolo, Bisoprololo, ecc). La scelta del farmaco ed il dosaggio potrà variare, su indicazione del medico, a seconda del tipo di tachicardia parossistica, delle caratteristiche del paziente e della risposta al trattamento. I principali effetti indesiderati sono rappresentati dalla nausea e dalla debolezza, alcuni farmaci possono anche causare danni alla tiroide, occhi e polmone (amiodarone). Il rischio di peggioramento del quadro aritmico è presente anche se molto basso, per questi motivi il trattamento con farmaci antiaritmici deve essere seguito sotto periodico controllo del cardiologo.
Ablazione Transcatetere
L’ablazione transcatetere ha l’obiettivo di rendere inattive le strutture responsabili della tachicardia sopraventricolare curando in maniera quindi definitiva il paziente affetto. La procedura di ablazione viene eseguita durante breve ricovero ospedaliero, in anestesia locale e mediante speciali sonde introdotte attraverso le vene (generalmente a livello dell’inguine e del braccio). In questo modo è possibile valutare le caratteristiche elettriche del cuore e provocare, attraverso degli impulsi elettrici, l’aritmia di cui il paziente è affetto identificandone con esattezza il meccanismo responsabile: questo esame prende il nome di studio elettrofisiologico. Successivamente ha inizio la fase di “mappaggio” attraverso la quale viene ricercata e localizzata con precisione l’area responsabile dell’aritmia, attraverso lo spostamento di una delle sonde introdotte all’interno del cuore. Una volta identificata, l’area viene resa inattiva mediante la creazione di una piccola “cicatrice” provocata dal passaggio di una corrente che genera calore (radiofrequenza) trasmessa attraverso la sonda. Più raramente la “cicatrice” può essere creata attraverso il freddo (criotermia) prodotto dal passaggio di uno speciale gas all’interno della sonda. Questa fase prende il nome di “ablazione transcatetere”. Se necessario, durante la procedura, potrebbero essere somministrati farmaci anticoagulanti o sedativi.
Quali sono le complicanze del trattamento di ablazione transcatete?
Le complicanze sono molto rare e dipendono principalmente dalla localizzazione dell’area responsabile dell’aritmia. Le probabilità di cura sono molto elevate, soprattutto nel caso delle tachicardie da rientro nodale e nella sindrome di Wolff-Parkinson-White, e nettamente superiori a quelle ottenibili con i farmaci antiaritmici. La necessità di ripetere la procedura di ablazione per insuccesso o recidiva dell’aritmia è infrequente.
Questa procedura è indicata a pazienti di tutte le età, con aritmie ricorrenti e scadente qualità della vita, e dovrebbe essere eseguita quando l’aritmia provoca una riduzione della funzione di pompa del cuore (tachicardiomiopatia) oppure vi è un rischio per la vita del paziente (ad esempio in alcune persone affette da sindrome di Wolff-Parkinson-White).