La fibrillazione atriale è la più comune aritmia cardiaca che affligge circa 600.000 individui in Italia. Durante questa aritmia, gli atri (le due camere superiori del cuore) si attivano con un’elevatissima frequenza ed in maniera scoordinata generando un battito cardiaco irregolare e spesso accelerato (tachicardia). Tra le persone di età maggiore di 40 anni, una su quattro potrà presentare nel corso della restante vita un episodio di fibrillazione atriale. A volte questo rimane l’unico evento, mentre in altri casi l’aritmia tende a ricorrere.
Soprattutto nelle fasi iniziali, gli episodi tendono ad interrompersi spontaneamente, di solito nel giro di un paio di giorni (fibrillazione atriale parossistica); successivamente, la loro durata aumenta e saranno necessari degli interventi (cardioversione) per determinarne l’arresto (fibrillazione atriale persistente). Quando invece non sono più opportuni tentativi di interruzione e l’aritmia viene definitivamente accettata dal medico, la forma si definisce permanente. La trasformazione di una forma nell’altra dipende dal tempo, dalle alterazioni delle proprietà elettriche del cuore (in parte generate dalla stessa aritmia), nonchè dalla presenza e gravità di una concomitante malattica cardiaca.
Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?
La contrazione irregolare del cuore, a volte molto rapida (tachicardia) o troppo lenta (bradicardia), può determinare un inadeguato flusso di sangue nel corpo e quindi produrre dei sintomi avvertiti dal paziente. I principali sono:
- palpitazioni (sensazione di battito accelerato ed irregolare)
- debolezza o incapacità di eseguire la normale attività fisica
- affanno
- sensazione di “testa vuota”
- sensazione di mancamento
- svenimento
In alcuni soggetti i disturbi possono essere molto lievi o addirittura assenti e l’aritmia viene scoperta occasionalmente durante una visita medica eseguita per altri motivi. In presenza di sintomi o segni suggestivi della presenza di una fibrillazione atriale è opportuno che il medico di medicina generale prescriva al paziente un consulto verso un elettrofisiologo (un cardiologo che si occupa delle aritmie cardiache). Nei casi di maggiore gravità è necessario, invece, un rapido accesso al Pronto Soccorso.
Quali sono le cause della fibrillazione atriale?
Nella maggior parte dei soggetti la fibrillazione atriale si manifesta in presenza di condizioni o malattie predisponenti:
- età (il rischio aumenta con l’invecchiamento, dopo i 40 anni un individuo su quattro può presentare un episodio aritmico)
- malattie cardiache (infarto pregresso, insufficienza cardiaca, malattia valvolare, ecc)
- ipertensione arteriosa
- malattie extracardiache (polmonari, tiroideee)
- abuso di alcol
- storia familiare (raramente)
In un numero ridotto di casi (uno su dieci all’incirca), l’aritmia si manifesta senza una causa apparente e viene pertanto definita come “isolata”.
Nelle persone predisposte o per effetto delle condizioni precedentemente elencate, la fibrillazione atriale viene quindi scatenata da una serie di impulsi elettrici ad elevata frequenza che, nella maggior parte dei casi, originano dalle fibre muscolari che rivestono la parte iniziale delle vene polmonari (condotti che portano il sangue dai polmoni all’atrio sinistro).
Quali sono le conseguenze della fibrillazione atriale?
Durante la fibrillazione atriale la contrazione degli atri perde enormemente vigore e questo causa un ristagno di sangue che può essere a sua volta responsabile della formazione di un coagulo all’interno della camera. Successivamente, questo coagulo (embolo) può spostarsi dal cuore e viaggiare all’interno dei vasi con il sangue fino a raggiungere il cervello (o un altro organo) interrompendone l’irrorazione e causando l’ictus (una cicatrice più o meno estesa del cervello che determina una perdita transitoria o perenne di alcune delle sue funzioni). Il rischio di avere un ictus non è uguale in tutti e può aumentare con l’età avanzata, la presenza di diabete mellito, ipertensione arteriosa, riduzione della funzione di pompa del cuore, malattia delle arterie o in coloro che hanno già presentato una ischemia cerebrale.
Un’altra possibile conseguenza negativa della fibrillazione atriale è rappresentata dalla riduzione più o meno grave della funzione di pompa del cuore (insufficienza cardiaca). Questo avviene solitamente in soggetti predisposti e soprattutto quando la frequenza di contrazione del cuore rimane a lungo molto elevata.
Diagnosi
La diagnosi di fibrillazione atriale viene generalmente eseguita attraverso una visita medica e la registrazione dell’elettrocardiogramma. A completamento della diagnosi potrebbero essere indicate anche ulteriori indagini:
- ECG dinamico delle 24 ore sec. Holter
- Impianto di Monitor Cardiaco (Event recorder)
- Ecocardiogramma
- Ecocardiogramma transesofageo
- Test ergometrico
- Esami del sangue (soprattutto per valutare la funzione della tiroide)
- Radiografia del torace
Trattamenti
Il trattamento della fibrillazione atriale ha una duplice finalità: ridurre i sintomi (mediante il ripristino del normale ritmo cardiaco o il controllo della frequenza cardiaca durante l’aritmia) e prevenire la formazione di coaguli nel cuore (mediante una terapia con farmaci anticoagulanti).
Prevenzione della formazione di coaguli
Il rischio che si formino coaguli all’interno dell’atrio che a loro volta possono staccarsi (emboli) e viaggiare all’interno dei vasi sanguigni è legato alle caratteristiche cliniche del paziente. Da queste ultime quindi dipenderà la necessità che il paziente assuma una terapia anticoagulante orale. I farmaci che vengono preferenzialmente utilizzati sono gli anticoagulanti ad azione diretta (Dabigatran, Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban) che si sono dimostrati estremamente efficaci nella riduzione del rischio di ictus (di circa 80%) a fronte di un contenuto rischio di emorragie e senza necessità di eseguire periodici controlli della loro azione mediante prelievi di sangue.
Per le persone per cui questi farmaci sono controindicati o in coloro che hanno protesi valvolari meccaniche può essere utilizzato come anticoagulante il Warfarin, una sostanza anch’essa molto efficace ma che richiede un continuo monitoraggio della sua azione mediante periodici esami del sangue. Chi assume il farmaco dovrà anche prestare attenzione alle interazioni con alcuni alimenti o altre sostanze che ne aumentano o riducono l’effetto. Per questo motivo il trattamento deve essere eseguito sotto costante controllo medico (da parte dello specialista nella coagulazione o, in alternativa, dal medico di base o cardiologo di fiducia). Nella maggior parte dei casi, se indicato, l’anticoagulante orale andrà assunto per tutta la durata della vita.
Ripristino del normale ritmo del cuore (cardioversione)
La procedura con cui si tenta di interrompere l’aritmia e ripristinare il normale ritmo del cuore (ritmo sinusale) è chiamata cardioversione. Questa può essere eseguita mediante somministrazione di farmaci antiaritmici (generalmente per via endovenosa nel corso di un ricovero o un accesso in Pronto Soccorso) o attraverso una “scarica elettrica” erogata con delle speciali piastre posizionate sul torace (nel corso di un ricovero o un accesso in Pronto Soccorso e dopo aver somministrato dei sedativi al fine di non percepire il dolore legato alla scarica). La scelta del tipo di cardioversione è fatta dal medico sulla base di una serie di fattori clinici e soprattutto della durata dell’episodio aritmico. Al primo episodio di fibrillazione atriale la cardioversione è sempre indicata; essa può essere tranquillamente ripetuta anche più volte nel tempo quando si ritiene indicato il mantenimento del normale ritmo sinusale. Se l’aritmia dura da più di 48 ore e/o il paziente non è adeguatamente anticoagulato, la cardioversione sarà preceduta da una ecocardiografia transesofagea (un esame in cui una sonda viene introdotta dalla bocca e avanzata all’interno dell’esofago) al fine di escludere la presenza di coaguli nell’atrio.
Mantenimento del ritmo sinusale nel tempo
Questa strategia è generalmente preferita nei soggetti più giovani e più disturbati dall’aritmia, quando il controllo della frequenza cardiaca durante la fibrillazione atriale non è efficace o non è tollerato, in assenza di grave malattia cardiaca o quando l’aritmia causa un peggioramento della funzione di pompa del cuore.
Il mantenimento del ritmo sinusale può essere tentato mediante farmaci antiaritmici somministrati per bocca o una procedura interventistica chiamata ablazione transcatetere. In rari casi potrebbe essere indicato un intervento cardiochirurgico.
I farmaci antiaritmici più comunemente usati sono la Flecainide, il Propafenone, il Sotalolo, l’Amiodarone ed il Dronedarone. Il dosaggio potrà variare, su scelta del medico, a seconda delle caratteristiche e della risposta del paziente. Talvolta è possibile associare tra loro più farmaci per aumentarne l’efficacia. I principali effetti indesiderati sono rappresentati dalla nausea e dalla debolezza, alcuni farmaci possono anche causare danni alla tiroide, occhi e polmone (amiodarone); il rischio di peggioramento del quadro aritmico è presente anche se molto basso. Per questi motivi, il trattamento con farmaci antiaritmici deve essere seguito sotto periodico controllo del cardiologo di fiducia. L’efficacia nella prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale non è molto elevata.
L’ablazione transcatetere per la prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale consiste nella creazione di “barriere elettriche” a livello degli sbocchi delle vene polmonari nell’atrio di sinistra (isolamento elettrico delle vene polmonari) in quanto queste strutture (le vene polmonari) sono le aree da cui più frequentemente l’aritmia insorge. La procedura di ablazione viene eseguita durante breve ricovero ospedaliero, in anestesia locale e mediante speciali sonde introdotte attraverso le vene (generalmente a livello dell’inguine e del braccio). Delle sonde introdotte, due vengono portate sotto la guida dei raggi X, all’interno dell’atrio sinistro attraverso un passaggio già presente o creato con una piccola puntura sulla parete che divide i due atri (puntura transettale). Delle due sonde introdotte, una servirà a registrare l’attività elettrica del cuore, l’altra a creare le lesioni (piccole “cicatrici”) che permetteranno di isolare elettricamente le vene polmonari dall’atrio sinistro. Le lesioni vengono ottenute generalmente con una corrente che genera calore (radiofrequenza) trasmessa attraverso la sonda. Più raramente queste lesioni possono essere create attraverso il freddo (criotermia) prodotto dal passaggio di uno speciale gas all’interno della sonda. Prima o nella fase iniziale della procedura di ablazione, viene spesso eseguito un esame TAC, una risonanza magnetica o una iniezione di mezzo di contrasto all’interno dei vasi sanguigni al fine di ricostruire la struttura dell’atrio sinistro ed integrarla all’interno di sofisticati sistemi di mappaggio tridimensionale (apparecchiature assimilabili ai “navigatori satellitari” utilizzati con le automobili che consentono una più agevole e accurata manovra delle sonde all’interno del cuore). In alcuni pazienti oltre all’isolamento elettrico delle vene polmonari potrebbe essere necessario eseguire ulteriori lesioni per il trattamento di altre aritmie associate o in presenza di una fibrillazione atriale particolarmente “resistente”. Durante la procedura di ablazione vengono somministrati farmaci anticoagulanti per via endovenosa ad alta dose per evitare la formazione di coaguli sulle sonde; se necessario o a seconda delle abitudini del Centro, potranno essere utilizzati anche sedativi di vario tipo ed azione. Le principali, anche se rare, complicanze della procedura di isolamento elettrico delle vene polmonari consistono nella perforazione accidentale del cuore (che viene generalmente risolta mediante l’aspirazione del sangue stravasato con una puntura eseguita al di sotto dello sterno e diretta verso il “sacco” che avvolge il cuore – pericardiocentesi) e nel distacco di coaguli che si formano sulla superfice delle sonde nonostante l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti. L’efficacia della procedura di ablazione per la fibrillazione atriale è relativamente elevata e superiore di gran lunga al trattamento con farmaci antiaritmici. Tuttavia, un secondo intervento potrebbe rendersi necessario per consolidare le lesioni in una elevata percentuale di casi. Questa procedura è indicata nei soggetti relativamente giovani, senza una grave malattia cardiaca, in cui l’aritmia, ricorrente e non prevenuta dai farmaci antiaritmici, determina una scadente qualità della vita e/o peggiora la funzione di pompa del cuore.
Controllo della frequenza cardiaca durante fibrillazione atriale
Questa strategia è generalmente preferita nei soggetti più anziani, con una più grave malattia cardiaca e/o con patologie di più organi, in presenza di una aritmia di lunghissima durata, e quando i trattamenti per il mantenimento del normale ritmo sinusale siano risultati completamente inefficaci o non tollerati.
La frequenza ottimale del cuore durante la fibrillazione atriale dovrebbe oscillare tra 60 e 90 battiti al minuto a riposo e 110 e 130 battiti al minuto durante l’attività fisica. Questo obiettivo può essere raggiunto mediante la somministrazione di farmaci o una ablazione transcatetere (piccola “bruciatura” prodotta da una speciale sonda introdotta nel cuore attraverso una vena) del nodo atrio-ventricolare (il “filo elettrico” che permette il passaggio dell’impulso elettrico dalla camera superiore del cuore – l’atrio – a quella inferiore – il ventricolo) seguita dall’impianto di un pace-maker (apparecchio che genera degli impulsi elettrici in gradi di far battere il cuore).
I farmaci utilizzati per il controllo della frequenza cardiaca sono la Digitale, il Verapamil o i beta-bloccanti (Atenololo, Metoprololo, Bisoprololo, Carvedilolo, ecc). Talvolta per ottenere una buona risposta è necessaria l’associazione di più farmaci.
L’ablazione del nodo atrio-ventricolare ed il successivo impianto di un pace-maker è eseguita nei pazienti in cui i farmaci si rivelano inefficaci, sono controindicati o non tollerati.